[ Interviste / Interviews ]

 

Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH a cura di Davide Riccio.
Pubblicata su Kult Underground, Ottobre 2022.

 

DAVIDE: Ciao Giuseppe e ben tornato su queste pagine. Cinque mesi fa abbiamo parlato di “Iron and Ice” e ora esce questo doppio cd, Caustic / Composite... Early Electronic Works. Brani dunque di quale primo periodo?

GIUSEPPE: Per lo più parliamo della seconda metà degli anni ’90.
Si tratta di registrazioni d’archivio d’impronta prettamente elettronica, registrate in presa diretta, recentemente “recuperate”, selezionate e raccolte ma senza alcun lavoro successivo di editing o missaggio, fatto salvo l’ovvio e necessario lavoro di mastering.

DAVIDE: Caustic e Composite sono in realtà due lavori diversi?

GIUSEPPE: Diciamo che per quanto riguarda “Caustic”, si tratta di materiale abbastanza omogeneo, sia stilisticamente che come sonorità e “approccio”, facente parte di una serie di registrazioni effettuate in un periodo di tempo abbastanza circoscritto.
“Composite” invece raccoglie materiale un po’ più eterogeneo, registrato in tempi e situazioni abbastanza diverse. 

DAVIDE: Si tratta di inediti fino ad oggi, di ristampe o, diversamente, perché hai atteso tutto questo tempo per pubblicarli?

GIUSEPPE: Si, si tratta di materiale fino ad ora assolutamente inedito, e le ragioni per cui ho aspettato tanto a pubblicarlo sono diverse.
All’epoca non lo avevo incluso tra le mie primissime autoproduzioni su cassetta (e poi CD-R) perché avevo l’impressione che fosse troppo sperimentale, “crudo” e “ostico” da proporre.
Alla “prova del tempo” però ho trovato questo materiale molto più “attuale” e interessante di altro che invece all’epoca ho “diligentemente” organizzato e catalogato in piccole ma ben fatte autoproduzioni.
Avevo iniziato ad usare il midi, i sequencers software… e preferivo lavorare su PC con diverse tracce registrate e mixate (parlo delle primissime versioni del Cubase ad esempio) realizzando brani più articolati, stratificati e “complessi”, spesso programmando parti e sequenze con il mouse su un piano roll, piuttosto che dare importanza a “semplici” registrazioni elettroniche statiche, spesso registrate in diretta e ampiamente improvvisate, come quelle “confluite” in questo doppio CD. Più che dall’elettronica, intesa in senso stretto, per un periodo sono stato infatti molto attratto da quella che all’epoca veniva definita “Computer Music”.
Aggiungo che musicalmente sono stato sempre molto (forse a volte anche troppo) prolifico, e che ovviamente da quando ho iniziato a pubblicare CD mi interessava per lo più pubblicare il nuovo materiale. Queste vecchie registrazioni inoltre “giacevano” in gran parte su cassette, che avrei dovuto acquisire in digitale prima di farne qualsivoglia uso, cosa che ovviamente richiedeva tempo e dedizione.
Molte le ragioni quindi, ma finalmente un po’ di tempo fa ho deciso di “avventurarmi” nel recupero di questo vecchio materiale, e il primo risultato di questo lavoro ha trovato “forma” in questo doppio CD. E non è escluso che in futuro possa esserci anche un seguito. 

DAVIDE: Hai cambiato qualcosa rispetto al materiale originale?

GIUSEPPE: Sostanzialmente no. Le tracce sono state utilizzate senza alcuna manipolazione nè lavoro di editing o marcato “restyling”, per così dire.
Ovviamente c’è stato un meticoloso lavoro di mastering, per recuperare al meglio il suono, valorizzarlo, e pubblicarlo su CD nella sua forma migliore.  
Ma parliamo soltanto di ordinari interventi di “restauro”, per eliminare fruscii, ronzìi, crepitìi ed occasionali rumorini “molesti”, e ovviamente i successivi e usuali interventi comuni a ogni lavoro di mastering (aggiustamento delle sfumature, dei picchi, limiting, compressione, equalizzazione, livellamento dei volumi e così via).

DAVIDE: Molto di te e dei tuoi lavori si può approfondire attraverso le diverse interviste che ho fatte con te negli anni (sopra i collegamenti). Però torniamo ai tuoi primi lavori. Come ti sei avvicinato alla musica elettronica e con quali obiettivi iniziali qui racchiusi?

GIUSEPPE: Il “percorso” è stato lungo. Mi sono avvicinato alle sonorità elettroniche nella seconda metà degli anni ’80, provenendo però inizialmente dagli ascolti di quel synth pop molto diffuso in quel periodo. Parliamo di Ultravox, Depeche Mode, Camouflage, Heaven 17, Talk Talk, Gary Numan, Orchestral Manoeuvres in the Dark… Da qui ai Kraftwerk più “popolari” di “Electric Cafè” (o “Techno Pop” che lo si voglia chiamare) o “The Man Machine” il passo era abbastanza breve e “scontato”…
Poi nel 1988 la “svolta” quando venni a contatto con “Timewind” di Klaus Schulze (che in realtà al primo ascolto non mi entusiasmò affatto, ma che in seguito divenne invece un mio riferimento assoluto), poi con Steve Roach, Robert Rich, Vidna Obmana, David Parsons, Rüdiger Lorenz, Laszlo Hortobagyi, Software… ovviamente Brian Eno… E poi ancora oltre Thomas Köner, Lustmord, Jliat, Francisco Lopez…
A quel punto il mio “concetto” di elettronica si era molto “espanso” tanto da perdere i connotati iniziali e sfumare via via sempre di più, fin dove l’origine delle sorgenti sonore si fa sempre più indecifrabile e aleatoria e il concetto di “elettronico” evolve finendo per identificare più una caratteristica “timbrica” e di “mood” che non “tecnologica”… Non mi addentro di più, ma sicuramente gli “input” alla mia musica personale, e in particolare a quella di matrice spiccatamente elettronica presente su questo lavoro appena uscito, attingono a molte di quelle “fonti” ed esperienze. Quanto agli obiettivi… non me ne sono mai posti a priori. Ascoltare musica, e successivamente suonarla e produrla, è sempre stata per me un’esigenza “naturale” e quasi “primaria”.
 
DAVIDE: Cos'è cambiato di fondamentale nel tuo percorso dai primi lavori agli ultimi?

GIUSEPPE: Direi molto dal punto di vista dell’estetica, dei mezzi, della strumentazione usata, dello stile, ma poco dal punto di vista della “logica” e dell’approccio…
Fin dall’inizio mi è piaciuto esplorare territori molto diversi, andare avanti nella ricerca, ampliare il “range d’azione”, sperimentare nuove soluzioni, nuovi suoni, nuovi strumenti.
Mantenendo però ferma nel tempo un’intenzione, quella di “emozionare” più che “intrattenere” o “provocare”.
E il risultato, considerando soltanto il periodo da quando ho iniziato a pubblicare per diverse label CD stampati (2004) fino ad oggi, è di più di trenta CD (e un LP) pubblicati, tra album in solo come NIMH, e progetti collaborativi, che spaziano da un industrial (dagli “spigoli” comunque un po’ “smussati”) alla più “tradizionale” musica ambient, dark-ambient, musica etnico-rituale, drone-elettronica, isolazionista, lambendo persino lo shoegaze, il post-rock e musica acustica strumentale “prossima” ad alcune cose della mai dimenticata Windham Hill di William Ackerman.
 
DAVIDE: Come realizzasti Caustic e Composite, con quali tecnologie e con quali idee sul suono? Mi pare si tratti sostanzialmente di drone-based music o, come la definì La Monte Young, “la branca timbrica prolungata del minimalismo”. Perché hai scelto in particolare questo stile musicale per esprimerti? Che significato hanno per te il drone o bordone, i cluster dilatati e ripetuti di note?

GIUSEPPE: Per quanto riguarda la strumentazione, ho usato indifferentemente synth fisici e virtuali, software di vario genere ed effetti, anche qui fisici e software.
In quegli anni, come dicevo poco fa, ero attratto da diverse “forme” musicali all’interno del variegato universo elettronico, e le scelte per questa o quella soluzione, questo o quello “stile”, erano guidate dall’umore e dall’ispirazione del momento, senza “premeditazione”, per così dire, e senza andare a ricercare particolari significati “concettuali” o “filosofici” in quello che facevo. 

DAVIDE: Sai che per me la scelta di un titolo è molto importante, specialmente quando si tratti di musica pura e senza titoli, come in questo caso, avendo tu titolato semplicemente con i numeri, “Caustic #1”, #2 ecc. o Composite #1 ecc. Perché dunque “Caustic” e perché “Composite” e relativa numerazione, come a voler evitare qualunque tipo di distrazione o divagazione intorno ai brani?

GIUSEPPE:“Caustic” perché è una parola che secondo me descrive molto bene le sonorità “abrasive” e “ruvide” presenti nei tre lunghi brani del CD. Inoltre in tempi recenti ho scoperto un software, chiamato proprio “Caustic”, con cui è possibile ottenere dei suoni molto simili a quelli che ottenni all’epoca utilizzando mezzi completamente diversi. Da queste due osservazioni è nata l’idea del nome “Caustic”.
“Composite” invece proprio perché molto più eterogeneo, come strumentazione usata, suoni e approccio, rispetto a “Caustic”.
Quanto ai titoli… sinceramente andare a cercare dei titoli “veri e propri” per materiale di questo genere, dal forte sapore sperimentale, recuperato da registrazioni di molti anni fa, selezionato e raccolto solo ora in modo un po’ organico per la realizzazione di questo doppio album, mi sarebbe parsa una grossa “forzatura”. Erano tutte tracce che all’origine non avevano alcun titolo, che non erano state registrate all’interno di un “disegno” preciso e predefinito.
Per questo ho scelto, come hai ben osservato, una semplice e poco “distrattiva” numerazione progressiva.

DAVIDE: Hai pubblicato questo doppio cd con la Zoharum, un'etichetta polacca di “new experimental art”. Come è avvenuto questo incontro? Quali sono ad oggi, secondo te, le migliori etichette di musica elettronica sperimentale, per “filosofia” e per qualità del catalogo?

GIUSEPPE: Sono entrato in contatto con Zoharum già parecchi anni fa. Nel tempo ci sono stati alcune email, qualche scambio di CD, e quando avevo registrato “Circles of the Vain Prayers” la label sembrava molto interessata a pubblicarlo, seppure la cosa non andò a termine e il CD fu pubblicato nel 2016 da Rage in Eden. All’epoca in realtà ero in contatto principalmente con Michał, mentre ora le redini di Zoharum sono nelle mani del solo Maciej.
Appena finito di mettere a punto questo doppio album avevo notato che Zoharum, oltre ad essere una label da sempre molto quotata in questo ambito e ancora molto attiva, stava facendo anche diverse ristampe di vecchio materiale di progetti quali Vidna Obmana, Hybryds, Rapoon...
Ho pensato quindi che anche questo mio materiale d’archivio, seppure ancora inedito, avrebbe potuto essere ben accolto dalla label. E così è stato.
Maciej ha apprezzato il materiale, ha accettato di realizzarlo per Zoharum, e in tempi molto brevi, con grande impegno e professionalità, e soprattutto con grande rispetto per il mio lavoro (quindi mantenendo esattamente così come era tutto quanto gli avevo proposto… tracce, master, grafiche, titoli…) ha pubblicato il doppio CD per la sua label.
Un’esperienza davvero molto positiva, che mi ha spinto a proporre a Maciej anche un mio recente album collaborativo realizzato con il polacco Tomasz Borowski, e che, salvo imprevisti, dovrebbe essere pubblicato a primavera prossima.
Dovendo menzionare alcune etichette in questo settore che reputo tra le migliori, oltre ovviamente a Zoharum di cui ho già parlato, direi senz’altro il “gruppo” di labels nate intorno a Silentes (13, St.An.Da,, Oltrelanebbiailmare), ma anche Cryo Chamber, la “giovane” Dissipatio di Nicola Quiriconi, e le varie labels guidate da Raffaele Pezzella (Unexplained Sounds Group, Eight Tower Records…).
In realtà ci sono molte labels che pubblicano materiale interessante, ma la realtà è molto “frammentata”. Alcune sono piccole labels con distribuzione ridotta al minimo… Altre “mescolano” interessanti pubblicazioni di CD con molto meno significative pubblicazioni in vinile, o addirittura su cassetta, CD-R o le cosiddette “digital releases”.
Questo mi “disturba” e mi spiazza un po’ a dire il vero, perché spesso vedo le pagine di questa o quella etichetta apparentemente interessante, con una lunga sfilza di “releases” in elenco con tanto di immagine di copertina esibita, e poi invece, andando a “stringere” e selezionando le sole uscite “vere” su CD stampato, mi rendo conto che di “sostanziale” alla fine rimane davvero poco.
Purtroppo per me, sono ancora uno che ama il supporto fisico e l’alta qualità sonora al tempo stesso. Quindi tutto ciò che esiste al di fuori dei CD stampati da glass master non mi interessa e non lo prendo proprio in considerazione. Purtroppo le tendenze e le mode vanno in direzione opposta, e questo “penalizza” le mie possibilità di “fruizione”…
Comunque, e questa è una bella cosa, andando a cercare si trova ancora tantissima bella musica prodotta e stampata.
Il “rumore” causato nelle ricerche in rete da tante “pseudo-releases” che riempiono i motori di ricerca, i siti di recensioni e i cataloghi delle stesse labels, complicano un pochino le cose, e rischiano di far “sfuggire” qualcosa di veramente buono favorendo invece la visualizzazione e diffusione di “prodotti” molto più inconsistenti.
Comunque, se avessi denaro, tempo libero e spazio infinito… non impiegherei ugualmente molto ad “accumulare” quintali di nuovi CD…  
 
DAVIDE: Qualche cellula ritmica qua e là trapela, sebbene assai lenta, diluita, ma più serrata e fondante arriva nel sequencer di “Composite #6” e nelle percussioni di “Composite #8”, entrambe di evidente ispirazione Kosmische Musik. Diciamo però che quasi tutto Caustic / Composite evita di avere forti nuclei ritmici. C'è un motivo alla base di questa scelta?

GIUSEPPE: In senso generale c’è da dire che le componenti ritmiche nella mia musica sono state sempre piuttosto rare, salvo laddove ho utilizzato ritmiche di tipo etnico-rituale, quindi in contesti molto diversi da questo. E non perché abbia antipatia o preclusione verso i ritmi, ma forse perché “istintivamente” mi piace di più sviluppare musica al di fuori di questo tipo di “schemi”.
Parlando delle due tracce specifiche… “Composite #6” è stato programmato e registrato con l’ausilio di alcuni effetti aggiuntivi per chitarra manipolati in tempo reale utilizzando un vecchio expander monofonico della Yamaha, il QY 10. “Composite #8” fu realizzato con “Rebirth”, software che per un periodo ho usato ampiamente (ci registrai praticamente l’intero CD-R “Line of Fire” tanto per dire) ma del quale non usai quasi mai le sezioni ritmiche, se non in rarissime occasioni come questa.

DAVIDE: La copertina riproduce varie venature di marmo, o così mi pare. Una scelta legata al fatto che il marmo rappresenta un fatto estetico (artistico e nondimeno tecnologico) e un concetto universale di bellezza o cosa?

GIUSEPPE: Una curiosità rispetto alle immagini usate per la copertina. Ogni anno passo alcuni giorni d’estate sul litorale toscano, dove lungo la spiaggia è possibile trovare ampi accumuli di ghiaia e ciottoli dalle belle e colorate venature che, come giustamente osservi, ricordano il marmo.
Un paio di estati fa ho deciso di fotografarne alcuni, proprio con l’idea che prima o poi avrei potuto utilizzare le foto per qualche progetto grafico o un video.
Quando ho ultimato il doppio CD e ho iniziato a pensare all’artwork, mi è venuto in mente di usare quelle foto.
Ho selezionato le più belle, ne ho scelte due in particolare (in rappresentanza dei due CD) che contrastavano un po’ come colori e tipo di venature, e ho preparato una prima “bozza” delle grafiche, che poi ho deciso definitivamente di “adottare”.
Una scelta di tipo sostanzialmente “estetico” e “funzionale”, per mantenere un certo “minimalismo”, ricercare al contempo una certa “riconoscibilità” e “caratterizzazione” del front cover, e suggerire in qualche modo anche l’idea del doppio CD.

DAVIDE: Non mi resta che chiederti cosa seguirà ora?

GIUSEPPE: Come già anticipato in primavera dovrebbe uscire sempre per Zoharum un nuovo CD di NIMH realizzato in collaborazione con Fomalhaut, un progetto del polacco Tomasz Borowski.
E’ già tutto pronto, contenuto, master e grafiche, e il titolo del CD è “From the Longest Winter”.
E’ quasi certa anche l’uscita del nuovo CD di LHAM insieme a Bruno De Angelis dal titolo “They Cast No Shadows”. Per questo non abbiamo ancora una data per la pubblicazione, e non ci sono ancora delle grafiche pronte, ma attendiamo senza fretta e con fiducia notizie dalla label che dovrebbe pubblicarlo.
Tra le altre cose ho appena inviato un mio brano di NIMH a Taâlem, per la consueta compilation digitale annuale “Homework” che uscirà a fine anno.
Poi, come al solito, tante altre idee e proposte di collaborazione, ma per il momento ancora nulla di già definito. 

DAVIDE: Grazie e à suivre...

 

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