![]() |
[ Interviste / Interviews ]
Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH a cura di Davide Riccio.
DAVIDE: Ciao Giuseppe e ben tornato su queste pagine per parlare delle tue due ultime uscite, una come Nimh insieme a Onasander, cioè Maurizio Landini, "Unveiled lights" (Fluttering Dragon Records), l'altra come Lham insieme a Bruno De Angelis (Silentes). Iniziamo da "Unveiled lights". Come vi hai lavorato con Maurizio Landini, che tipo di esperienza è stata, intorno a quali idee, percorsi e condivisioni? GIUSEPPE: Prima di tutto… grazie mille per lo spazio che hai nuovamente deciso di dedicarmi. DAVIDE: Le foto della copertina di "Unveiled lights" sembrano indicare scenari aridi e selvaggi con forse in una qualche traccia remota di esistenza umana... Orazio Flacco (per altro presente anche in un titolo dell'altro cd di Lham nel titolo "Pyrrha Sub Antro") celebrava la potenza dell'arte capace di rendere l'uomo immortale e le arti da sempre si pongono il problema dell'eterno e dell'immortalità attraverso la memoria dei posteri. Qual è il tuo rapporto con le tracce di un futuro passato, rifacendomi così anche ai titoli degli ultimi due brani "Primordial futures" e "Blurred horizons/The last human traces"? GIUSEPPE: In particolare riferimento alle immagini usate per le grafiche, mi fa piacere precisare che sono foto da me scattate in Abruzzo, esattamente nei dintorni di Casaline, un piccolo paese vicino L’Aquila dove passo molto tempo l’estate. C’era stato un grosso incendio nei paraggi, e tutto il verde intorno, parliamo di una superficie molto ampia, appariva spettrale, arido, incenerito, carbonizzato… Con l’aggiunta di qualche filtro ho reso quelle foto ancora più suggestive, ed è stata una grande soddisfazione usarle per le grafiche, grazie ovviamente all’approvazione sia di Maurizio che di Przemysław. DAVIDE: Qualcosa di apocalittico sembra attraversare tutte le tracce di "Unveiled lights". In sanscrito “suono” si diceva svara e “luce” svar e tale affinità fonetica essenziale li univa sostanzialmente. Cos'è l'assenza di luce ("In absence of light") e cosa sono questi giorni cupi ("These bleak days") e, quindi, le luci svelate del titolo? GIUSEPPE: Credo che i titoli si prestino a numerose possibili interpretazioni e “parallelismi”. E infatti non li abbiamo pensati con un significato assolutamente “univoco”. Nella “assenza di luce”, nei “giorni cupi”, nelle “luci svelate” si possono scorgere sia semplici suggestioni “paesaggistiche” d’atmosfera, sia riferimenti ai contraddittori accadimenti storici, politici, sociali e culturali più attuali e, per estensione, degli ultimi due/tre decenni, sia più introspettivi e personalissimi stati emotivi, senso di incertezza, solitudine, rassegnazione, impotenza, talvolta “violati” da istanti di maggiore ottimismo, lumi di speranza, motivazione, intraprendenza. DAVIDE: La musica etnica e spirituale, generalmente statica o estremamente lenta, ha da sempre fatto uso dei bordoni, note o accordi suonati in modo continuo, sostenuti o ripetuti. Cos'è per te la drone-based music, drone ambient o dronescape che dir si voglia? Che significato conferisci a questa particolare staticità armonica o monofonica di origine remota su cui stratificare l'emergere di un graduale e più complesso tappeto sonoro? GIUSEPPE: Sicuramente l’impiego di bordoni, droni, tappeti, fondi “continui”, magari con andamento “ad onda” e con l’impiego di filtri per “movimentarne” sviluppo e andamento, sono alla base di ampia parte della musica ambient, in particolare quella di matrice più “scura”, ma anche di quella, all’opposto, di matrice più mistico/spirituale. In molti casi, e questo è un uso che non mi entusiasma almeno ai tempi odierni (venti/trenta anni fa la situazione era ovviamente un po’ diversa), questi elementi costituiscono la “quasi totalità” del contenuto e del “messaggio musicale”, avvalendosi solo in modo molto marginale di elementi di contorno e di “varianti sul tema”, se così vogliamo definirle. L’uso che invece apprezzo di più, e che ovviamente cerco di farne, è quello di una “linea guida” sonora ed emotiva, sottilmente “ipnotica”, che però sia solo uno “spunto”, un’idea, una suggestione iniziale, su cui poi costruire, con ampia gamma di altri suoni e strumenti, macro strutture molto più complesse e articolate, per restituire un risultato finale più vario, emotivamente coinvolgente, toccante, ricco di dinamiche (anche se spesso si sviluppano in modo molto graduale) e, sostanzialmente, non “noioso” e non troppo “ridondante” all’ascolto. GIUSEPPE: Posso candidamente confessarti che ho piacevolmente condiviso e “approvato” l’idea di questo titolo un po’ “enigmatico” suggerito da Bruno (tra noi due è lui il “perno” e il “genio” di questo progetto) senza chiedergli dettagli sulla “genesi” o motivazione specifica di questa idea… Posso aggiungere che “Tertium Quid” è di fatto il terzo CD pubblicato del nostro progetto LHAM, ma questo da solo non è sufficiente a spiegare il “senso esatto” di questo titolo adottato per la musica contenuta in questo album. DAVIDE: Colpiscono la ricchezza degli arrangiamenti di "Tertium Quind" e la ricercatezza delle sue armonie. Come procede il progetto Lham con Bruno De Angelis rispetto ai due precedenti lavori, attraverso quale peculiare narrazione musicale? Cosa evolve e sviluppa "Tertium Quid"? GIUSEPPE: Con piccole variazioni e “aggiustamenti” il nostro modo di lavorare insieme è sempre lo stesso, fin dal nostro primo CD di esordio. Andando avanti, con l’esperienza, abbiamo sicuramente migliorato il “focus”, ma i presupposti e gli “obiettivi” rimangono sostanzialmente gli stessi. Bruno in questo ultimo album mi ha fornito delle “macro strutture” di brani ad uno stato di lavorazione e arrangiamento già molto avanzato, e i miei interventi, a livello di arricchimento di suoni e arrangiamento, sono stati forse meno “incisivi” rispetto all’album precedente. Però nel caso specifico ho dovuto fare un lavoro tecnico un po’ più “intenso” del solito, per rendere le parti originali di Bruno, e quanto poi ho aggiunto io, anche tecnicamente più omogenee, pulite, dettagliate, ricercando (come sempre, e come per me fondamentale) una buona qualità sonora alla fine del processo di mix e mastering. Ho avuto qualche difficoltà in più in questo caso, e ho dovuto accettare qualche “compromesso”, ma ci tengo a precisare che per quanto io abbia molto a cuore una buona qualità del suono, ciò che poi conta più di tutto è l’impatto emotivo. E se qualcosa, dal punto di vista tecnico, non è proprio “perfetta”… in fin dei conti la cosa non mi preoccupa più di tanto. Peraltro ascoltando ogni giorno ogni genere di musica mi rendo conto che sotto questo aspetto ci sono CD in circolazione, anche di gruppi “mainstream”, che nonostante abbiano potenzialmente molti più mezzi (tecnici, economici, manageriali) di quanti ne abbiamo io e Bruno, “suonano” molto peggio del peggior lavoro di mix e mastering che io abbia fatto negli ultimi dieci anni (qualche nome? Editors, Killers, Psychedelic Furs, Iliketrains…). Quindi, pur non volendo con questo “giustificare” un suono non “perfetto”, voglio dire che talvolta, in virtù della “bellezza” di un certo “messaggio sonoro”, l’aspetto più puramente tecnico può comunque, in una certa misura, essere ragionevolmente “sacrificato”. DAVIDE: Anche la copertina di "Tertium Quid" riproduce immagini di una natura aspra e rocciosa, in questo caso fatta di vette montane. La donna della front cover mi ha ricordato un soggetto caro al pittore Ettore Leonardi, una "piccola Eva" in abitino rosso - nel suo caso - che partecipa, in qualità di sigla umana, all'avventuroso viaggio nell'altro mondo, una trasposizione moderna degli scenari miltoniani. Ad ogni modo, che rapporto c'è tra la natura a cui spesso ti richiami nelle tue copertine e la tecnologia dell'elettronica, che potremmo invece classificare all'opposto un artefatto del tutto innaturale? GIUSEPPE: Chiarisco subito che il (fantastico secondo me!) lavoro relativo alle grafiche e alle foto utilizzate è stato di Stefano Gentile di 13/Silentes/St.An.Da., quindi ogni “merito” sotto questo aspetto va a lui. GIUSEPPE: In tutta onestà per indole “rifuggo” istintivamente da tutto ciò che mi appare troppo concettuale, forzoso, “cervellotico”, prettamente teorico, financo “fumoso”, di fatto poco “concreto”, inconsistente; rifiuto il pensare e l’analizzare autocompiacente e fine a sé stesso… DAVIDE: Qual è stato l'ultimo disco da te ascoltato che ti ha colpito come a ritrovarvi le emozioni dei primi più importanti dischi della tua vita? GIUSEPPE: Acquisto dell’ultimo mese. The Killers, il loro ultimo album in studio (del 2021) “Pressure Machine”. Questo peraltro registrato piuttosto bene, a differenza dei loro primi album, per riallacciarmi al discorso (e alla menzione) sulla qualità del suono affrontato poco sopra. DAVIDE: Cosa seguirà? GIUSEPPE: Per la prima volta debbo rispondere a questa domanda con un po’ di amarezza. Al momento non ho nulla in lavorazione né di programmato. E non per “crisi d’ispirazione”, o per difficoltà nel collocare i miei lavori, quanto purtroppo per ragioni familiari (problemi con mio padre anziano) e di salute personali (non “gravi” in senso stretto ma piuttosto “invalidanti”, e parlo di dolori che mi impediscono di fatto di stare seduto al PC o agli strumenti, se non per pochi minuti, e allo stesso modo mi impediscono di stare e lavorare a lungo in piedi). DAVIDE: Grazie e à suivre...
|