[ Interviste / Interviews ]
Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH, a cura di Lorenzo Becciani (Divine).
Pubblicata su Dagheisha, Aprile 2008.
LORENZO: Potresti intanto introdurre a chi ancora non ti conosce le tue origini come musicista e i passi più significativi della tua carriera?
GIUSEPPE: Senza soffermarmi sulle mie esperienze più giovanili, degli anni cioè in cui, come molti altri ragazzi della mia generazione, amavo suonare per puro divertimento con degli amici in piccole formazioni dedite principalmente a proporre musica di tipo pop-country-rock, posso dire che il mio interesse verso la musica sperimentale è nato come naturale evoluzione di un precedente interesse nato negli anni '80 verso musica di tipo pop-elettronico, passando per una fase per così dire "intermedia" durante la quale imparai a conoscere e apprezzare la musica elettronica della scena tedesca, Klaus Schulze e Tangerine Dream in primo luogo.
Partendo in particolar modo da Klaus Schulze e da "Timewind", l'album che più di ogni altro ha contribuito a dare una sostanziale "svolta" ai miei interessi musicali, è seguito poi un lungo percorso di maturazione individuale e ricerca che, negli anni a seguire, ha cambiato in modo significativo il corso della mia vita, non soltanto in senso artistico-musicale, ma anche dal punto di vista più prettamente personale, giacché con il passare del tempo la musica si è trovata sempre più prepotentemente al centro dei miei interessi e delle mie attività quotidiane.
L'incontro con il primo "Cubase", all'epoca ancora un elementare software musicale atto a comporre musica utilizzando via midi dei sintetizzatori esterni, mi ha condotto nei primi anni '90 alle prime sperimentazioni nell'ambito della musica elettronica, e da lì nel giro di alcuni anni il mio interesse verso la musica elettronica e la sperimentazione in senso più generale è diventato parte sempre più importante della mia vita.
Dopo aver realizzato alcune cassette, e più in là nel tempo alcuni CD-R autoprodotti artigianalmente in limitatissime edizioni circolate in un numero di copie davvero esiguo, è stato soltanto nel 2002 che ho visto pubblicati ufficialmente su CD-R per due etichette specializzate del settore (l'italiana Afe Records di Andrea Marutti e la francese Taâlem di Jean-Marc Boucher) i miei due lavori "Frozen" e "Lanna Memories".
In questo periodo, anche grazie alla diffusione di internet, ho instaurato amicizie e contatti con molte altre persone che come me, a vario titolo, si interessavano di musica elettronica, ambient, sperimentazione.
Tappa assolutamente fondamentale per la mia attività è stata la pubblicazione nel 2004 dal parte di Stefano Gentile di "Amplexus" (storica etichetta italiana che vanta pubblicazioni di CD di artisti di fama internazionale come Steve Roach, Robert Rich, Michael Stearns, Loren Nerell, Mathias Grassow, Vidna Obmana, Amir Baghiri, Aube, Alio Die, Amon...) dei miei due CD "The Impossible Days" e "Whispers from the Ashes", il primo da solo a nome "Nimh", pseudonimo con il quale ho firmato tutti i miei album in solo a partire dal 2001, il secondo in collaborazione con Nefelheim.
Dopo questa esperienza, grazie anche al sincero interesse dimostrato da Stefano Gentile verso la mia musica, e all'estrema professionalità con cui lo stesso ha curato la pubblicazione e la diffusione di questi miei primi lavori, sono seguite diverse altre pubblicazioni di CD, non più però attraverso "Amplexus" ma attraverso "Silentes", la nuova etichetta "lanciata" nel 2005 sempre da Stefano Gentile, etichetta che di fatto ha sostituito e "soppiantato" Amplexus ampliandone le prospettive, il raggio d'azione, e aprendosi a forme musicali più variate rispetto a quanto fatto in passato.
In questi ultimi anni ho inoltre lavorato spesso in collaborazione con altri artisti, e ognuna di queste esperienze ha segnato una tappa importante nella mia attività artistica.
Oltre alla già citata collaborazione con Nefelheim desidero citare quella con l'iraniano Amir Baghiri, con cui ho realizzato "Entities", quella davvero entusiasmante con Maurizio Bianchi/M.B, da cui è nato il BOX quadruplo "Together's Symphony", e quella più recente con Andrea Marutti/Amon, a seguito della quale sono nati il CD "Sator", pubblicato da Mauro Berchi della Eibon, e il CD "Reflections on Black", pubblicato ancora da Silentes a nome progetto "Hall of Mirrors".
Ci tengo tra le altre collaborazioni a menzionare anche il significativo "Rework", firmato Aube, del mio CD "The Missing Tapes", che è stato pubblicato sempre da Silentes nel 2007 con il titolo "Aube Reworks Nimh Vol. 1".
LORENZO: A livello elettronico la scuola di Berlino è stata l'influenza maggiore o ce ne sono altre che ti piacerebbe sottolineare?
GIUSEPPE: Ho già accennato all'importanza fondamentale che ha avuto l'influenza della musica della scuola di Berlino per quanto riguarda la mia formazione e la mia crescita, ma questo soprattutto nella fase in cui mi avvicinavo per la prima volta a forme musicali meno ordinarie e di tipo non convenzionale.
In seguito sono stato sostanzialmente influenzato da artisti attivi nell'area più prettamente ambient, e qui è quasi superfluo citare Brian Eno, e da artisti/formazioni attivi in un contesto ambient-etnico-rituale come Steve Roach, Vidna Obmana, Amir Baghiri, Jorge Reyes, Coyote Oldman, Forrest Fang, Lights in a Fat City, Tuu, O Yuki Conjugate, Mathias Grassow.
Tra gli altri artisti che in vario modo mi hanno fortemente influenzato citerei anche Laszlo Hortobagyi, Rapoon, Jeff Greinke, Ruediger Lorenz, David Parsons, ma anche Pauline Oliveros, Stuart Dempster, Stephan Micus, Stephen Scott, Klaus Wiese, e vari artisti/progetti in area dark-ambient e dintorni, quali Thomas Koener, Caul, Lustmord, Lull, Desiderii Marginis, Raison D'Etre, Nordvargr...
Tra le altre influenze fondamentali desidero sottolineare il mio amore per la musica etnica e per gli strumenti etnici, divenuti nel tempo un elemento chiave per quanto riguarda la strumentazione che utilizzo abitualmente per realizzare la mia musica e i miei CD.
LORENZO: Cos'è ambient per te?
GIUSEPPE: Credo che ci sia una grossa confusione intorno al termine "ambient", forse perché è possibile ricondurre in qualche modo a questa definizione diversi "filoni" musicali, anche piuttosto diversi tra loro, di diversa estrazione e nati da evoluzioni progressive di altri generi musicali a volte persino apparentemente "inconciliabili" tra loro (elettronica popolare, metal, techno, new age...) che però nella loro metamorfosi estrema finiscono per condividere alcuni elementi comuni, quali una certa staticità/lentezza di base per quanto riguarda la forma compositiva, atmosfere e sonorità sostanzialmente "quiete" o comunque non ritmiche e non "aggressive", assenza di parti "cantate" nel senso tradizionale del termine o melodie molto marcate, un certo (auspicabile almeno...) spirito di ricerca e innovazione, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle sorgenti sonore.
Poi però ci sono ancora le sotto-classificazioni e le "contaminazioni"... dark-ambient, ritual-ambient, black-ambient, drone-ambient, ambient "meditativa", ambient-sperimentale, ambient-elettronica...
E' un po' difficile dire esattamente cosa sia per me la musica "ambient"...
Credo sia un po' tutto questo, ma al di là delle "etichette", per forza di cose molto limitanti e poco esplicative, credo che in ciò che viene comunemente definito musica "ambient" esistano diverse "correnti", di diversa "ispirazione" e con diversi "obiettivi". Esiste dell'ottima e "genuina" musica ambient (e dintorni...) in circolazione, e prodotti invece di basso livello, poco "ambiziosi", talvolta anche un po' "ruffiani", che si lasciano facilmente dimenticare dopo il primo ascolto...
Usare il termine "ambient" per definire un CD significa fornire soltanto un piccolo "indizio", fornire un' indicazione molto "di massima" sui reali contenuti della musica che si sta cercando di descrivere, comunque non certo sufficiente ad identificarla con la necessaria chiarezza e univocità.
LORENZO: Anche la componente etnico-rituale ha assunto un ruolo importante negli anni..
Quali sono le differenze sostanziali tra 'The Unkept Secrets' e i tuoi dischi precedenti?
GIUSEPPE: Sicuramente le componenti etnico-rituali hanno sempre svolto un ruolo significativo all'interno della mia musica, seppure negli ultimi anni tali elementi sono spesso profondamente miscelati e integrati a suoni/atmosfere di natura molto diversa ed eterogenea, e per questo sono di fatto meno "esibiti", appaiono cioè in forma più "subliminale" rispetto ad altre esperienze del passato.
Dico questo come considerazione generale, ma mi contraddico immediatamente sottolineando come invece nel recente "The Missing Tapes", licenziato da Silentes, tali elementi etnico-rituali siano invece tornati prepotentente in primo piano, assolutamente "protagonisti" della musica e del CD.
I miei dischi comunque sono spesso molto diversi tra loro, e questo per una mia irrinunciabile e istintiva esigenza di ricercare ogni volta nuove forme sonore, nuove soluzioni, nuovi stimoli, nuovi obiettivi, nuovi approcci compositivi, nuove atmosfere....
Chi conosce bene tutta la mia produzione può comunque cogliere un' "impronta" tutto sommato piuttosto riconoscibile all'interno dei miei vari lavori, ma chi non ha seguito tutto il mio percorso e non ha avuto modo di ascoltare tutti i miei CD difficilmente potrebbe cogliere quel "marchio" e quell'esile filo conduttore che comunque lega, ad esempio, album come "The Unkept Secrets", "The Missing Tapes", "Secluded Truths", "Whispers from the Ashes", "Sator", "Frozen" o "Line of Fire", giusto per citarne alcuni...
I miei album variano da situazioni più tipicamente ambientali, ad atmosfere più spiccatamente sperimentali, da album in cui è forte l'elemento etnico-rituale a CD in cui prevalgono sonorità marcatamente sintetiche; da lavori in cui è assolutamente assente qualsiasi pur minimo elemento melodico, a CD in cui strumenti "tradizionali" (come la chitarra ad esempio) sviluppano magari parti di chiara impronta "musicale".
Per quanto riguarda in particolare "The Unkept Secrets", lo considero, almeno idealmente, come ultimo capitolo di una "trilogia" iniziata con "The Impossible Days" e proseguita con il successivo "Subterranean Thoughts".
Con questi due album condivide un approccio compositivo molto simile, mirato a trovare una difficile "sintesi", in qualche modo inedita e al tempo stesso abbastanza "spinta" e ambiziosa negli intenti, di elementi elettronici, drones, suoni di strumenti etnici pesantemente trattati, registrazioni ambientali, voci...
Il tutto attraverso una complessa ricerca dal punto di vista delle sorgenti sonore da utilizzare, un lungo lavoro di registrazione di parti di vario genere, e una fase di lavoro finale molto articolata, minuziosa, "meditata" e "millimetrica" direi, per quanto riguarda l'editing/montaggio/assemblaggio/mixing delle singole tracce di ogni brano.
A ciò è seguito ovviamente un altrettanto meticoloso lavoro per quanto riguarda il mastering finale, fase conclusiva assolutamente "decisiva" per valorizzare al meglio il risultato di tutto il precedente lavoro.
L'elemento in un certo senso "nuovo", o comunque di maggiore rilievo riscontrabile in "The Unkept Secret", è la presenza abbastanza costante di parti e suoni di chitarra elettrica più o meno effettata/trattata.
Anche in passato avevo utilizzato talvolta la chitarra elettrica, ma solo per brevi parti, singoli suoni, distorsioni, feedbacks, interventi spesso molto "sotterranei" e poco riconoscibili.
In "The Unkpet Secrets" invece la chitarra emerge spesso in modo molto evidente, assumendo a tratti ruolo di "protagonista" ed elemento "chiave" dei brani.
LORENZO: Vuoi descriverci l'album traccia per traccia?
GIUSEPPE: Provo a farlo, anche se forse mi riesce un po' difficile parlare nel dettaglio della mia musica e dei singoli brani dei miei CD...
Ad ogni modo...
Il primo breve brano, "Meridians", nasce sostanzialmente dalla sovrapposizione, ad una parte suonata con la chitarra elettrica, di voci/rumori/suoni registrati da TV satellitari. Un brano molto semplice nella forma, "quasi post-rock", come ha detto qualcuno, che funge da introduzione al CD.
"Visions in Black" è un brano dalla atmosfere molto "dark", costituito al suo interno da diversi "momenti", costruito con drones profondi, parti ritmiche quasi "industriali", arpeggi di chitarra elettrica distorta, suoni di natura sintetica, parti di voce profondamente elaborate elettronicamente, e una certa quantità di "substrati" sonori realizzati fondendo suoni acustici, elettronici, registrazioni ambientali, anche qui tutto profondamente processato/rielaborato elettronicamente.
"The Call" inizia anch'essa descrivendo atmosfere piuttosto "oscure", attraverso suoni di field recordings, vento, metalli, voci, discreti elementi percussivi, fondi di drones elettronici, per poi virare in una direzione decisamente più "musicale" in cui è prevalente la presenza di parti di chitarra stratificate... manciate di note.. arpeggi...
"Linga" è il brano d'impronta più spiccatamente "rituale", in cui, sovrapposta a parti costruite per lo più con suoni di natura elettronica caratterizzate da una lenta cadenza ritmico-ripetitiva, compare il canto armonico di Nefelheim, che con voce profonda e gutturale canta/recita un mantra buddista. In questo brano compaiono anche suoni di cembali, e una breve apertura melodica a base di chitarra elettrica trattata con effetti, dal suono molto "sintetico"; si tratta idealmente di una sorta di "cerimoniale elettronico".
"The Unkept Secret" torna su atmosfere molto oscure e drone-oriented, con esplosioni di basse frequenze, scariche elettriche, voci confuse in un complesso e stratificato "magma sonoro". Anche qui, nella seconda parte del brano, compare il suono deciso, molto aspro e "tagliente", di una chitarra elettrica distorta e pesantemente effettata.
"The Ending Nightmare" è un breve brano che unisce suoni di origine elettronica e molto vagamente "space" a rumori, voci trattate, drones, sibili, suoni di strumenti etnici dilatati e resi irriconoscibili. Anche qui, poco distinguibili, appaiono alcune note basse di chitarra trattata, mentre sul finale appare in modo più intellegibile una parte acustica registrata con uno strumento a tre corde thailandese, il jackee.
Il conclusivo "One More Ride on the Merry-go-round", brano dedicato a Tiziano Terzani, che prende il titolo dall'ultimo libro scritto in vita da questo straordinario personaggio/scrittore/viaggiatore/pensatore (libro intitolato appunto "Un altro giro di giostra") è una sorta di semplice e brevissimo "bozzetto melodico" di chiusura, realizzato attraverso l'utilizzo di una parte spiccatamente melodica di chitarra, in un certo senso molto "infantile"e orecchiabile nella sua essenza, "poggiata" su confusi, distorti e ovattati sfondi, anch'essi, originariamente, d'impronta evidentemente melodica.
LORENZO: Che strumentazione hai utilizzato per comporre e registrare l'album?
GIUSEPPE: La strumentazione è molto varia, anche perché, a parte strumenti "classici" come la chitarra elettrica e sintetizzatori (fisici e software), gran parte dei suoni provengono da pesanti rielaborazioni di materiale sonoro di origini disparate. Suoni di strumenti etnici a fiato, a corda e a percussione, per lo più thailandesi (di cui non ti faccio l'elenco, che sarebbe peraltro molto lungo, poiché si tratta di strumenti poco diffusi il cui nome è sicuramente sconosciuto ai più), registrazioni ambientali effettuate in vari luoghi e in varie circostanze, voce, semplici oggetti di legno e metallo in vario modo sollecitati per estrarne suoni... Aggiungo inoltre che spesso non ricordo neanche io le origini esatte di tutti i suoni che utilizzo, in quanto negli anni ho piano piano archiviato sul mio computer una vasta quantità di registrazioni dalle quali spesso "attingo" durante la composizione dei brani e la realizzazione dei miei CD. Possono essere parti più complesse e "suonate" o singoli brevi suoni, drones, fondi, elaborazioni di più sorgenti sonore mixate, filtrate e rielaborate attraverso effetti applicati via software...
LORENZO: Sei un amante del didjeridoo. Vuoi descriverci le sue potenzialità maggiori?
GIUSEPPE: Il didjeridoo è uno strumento straordinario, e ne ho fatto ampio uso soprattutto molti anni fa, in particolar modo in "Tjukurpa", registrato nel 1999, un album interamente eseguito al didjeridoo con aggiunta di suoni di synth e campioni di voci etniche. In seguito è comparso in modo molto più occasionale e "mascherato" all'interno dei miei CD, seppure ho invece utilizzato spesso il didjeridoo nelle mie partecipazioni a CD di altri artisti. In tempi molto recenti nel fantastico CD "Il Tempo del Sogno", di Stefano Scala e nel CD "Voci" dei Timelines (con Claudio Ricciardi, Mino Curianò, Simone Fiaccavento, Davide Riccio), ma anche in "Un'estate senza Pioggia" di Hue, in "Blue Outlines" di Claudio Ricciardi, in "The Blind Watchmaker" di Mana Erg. Ho conosciuto il didjeridoo molti anni fa attraverso album come "Dreamtime Return", di Steve Roach e "Australia", sempre di Steve Roach con David Hudson e Sarah Hopkins; riuscii allora con non poca difficoltà a reperirne uno (peraltro in bamboo) e imparai a suonarlo da autodidatta. Seppure il didjeridoo ha caratterizzato e segnato profondamente per alcuni anni un certo tipo di musica ambient-rituale, e cito ancora tra gli altri Steve Roach, Vidna Obmana, Amir Baghiri, Lights in a Fat City, debbo dire che il didjeridoo che tutt'ora mi piace maggiormente ascoltare è quello della tradizione etnica aborigena.
Sicuramente il didjeridoo è uno strumento molto versatile, che può essere utilizzato in vario modo e può accostarsi egregiamente a molti altri strumenti in vari ambiti musicali, ma credo che il suono di un buon didjeridoo, o più precisamente di un buon Yidaki, messo nelle mani (o meglio, appoggiato alle labbra...) di un buon suonatore nativo australiano sia quello che più di ogni altro è in grado di "catturare" e "ipnotizzare" l'ascoltatore. Non che manchino esempi di ottimi suonatori occidentali, e in "casa" nostra potrei senz'altro citare Andrea Ferroni, un vero virtuoso dello strumento.
Ma al di là delle pur straordinarie capacità tecniche nel saper utilizzare in modo versatile il didjeridoo, credo che questo strumento sia in grado di esprimere il meglio di sé solo tra le mani di un aborigeno australiano, in contesti che si riallaccino alla tradizione di un popolo che, "grazie" all'uomo bianco, stenta purtroppo a sopravvivere e a mantenere intatti persino gli ultimi residui scampoli di una cultura millenaria ormai prossima ad essere definitivamente cancellata.
LORENZO: Quali sono le collaborazioni che ti hanno maggiormente arricchito in tutti questi anni?
GIUSEPPE: Ne ho già parlato abbastanza diffusamente rispondendo alle domande precedenti, comunque riepilogando sinteticamente direi senz'altro quella con Maurizio Bianchi/M.B., quella con Andrea Marutti/Amon da cui è nato il recente progetto "Hall of Mirrors", quella con Nefelheim, e aggiungerei senz'altro il sodalizio artistico, ormai "mutato" da anni in una consolidata e duratura amicizia, con Claudio Ricciardi, ex membro della storica formazione vocale Prima Materia di cui fecero parte anche artisti quali Roberto Laneri e Alvin Curran.
LORENZO: "Oltre Il Suono" è lo strumento che utilizzi per rapportarti alla rete?
GIUSEPPE: Il sito "Oltre il Suono" nacque quasi per gioco e senza grandi pretese nel 2001, con l'intento di promuovere attraverso la rete le prime produzioni indipendenti di musica italiana in ambito ambient-elettronico-sperimentale. Con il tempo è cresciuto ed è diventato un punto di riferimento importante in Italia per quanto riguarda l'informazione relativa a questo specifico settore musicale. Attraverso "Oltre il Suono" ho conosciuto molti artisti, responsabili di etichette di produzione, giornalisti, semplici appassionati di musica. Purtroppo impegni personali di vario genere ultimamente mi consentono di dedicare ad esso sempre meno tempo, ma nonostante tutto cerco di mantenere il sito sempre attivo e aggiornato, ritagliandomi comunque degli spazi di tempo per ascoltare nuovi CD, selezionare tra essi quelli che mi colpiscono di più, e farne recensioni che pubblico periodicamente sul sito.
LORENZO: Che rapporto hai con la religione?
GIUSEPPE: E' una domanda che mi è stata fatta molte volte. Personalmente credo di essere sempre stato piuttosto "impermeabile" alle influenze provenienti dall'universo religioso. Non che ci tenga particolarmente a professarmi ateo, né men che mai ho pregiudizi nei confronti di chi, differentemente da me, abbia maturato nel tempo più o meno profonda fede religiosa. Più semplicemente la religione è un tipo di argomento che non mi ha mai attratto più di tanto, è molto distante dalla mia indole, non mi interessa particolarmente, e conseguentemente a ciò non ho neanche conoscenze troppo approfondite in merito. Ovviamente sono sempre aperto al confronto, e a raccogliere e fare mio tutto ciò che di buono, in termini di esempi, messaggi, pensieri, possa venire dall'universo religioso... Pur non avendo mai aderito a nessuna dottrina religiosa specifica credo infatti in quella che può essere definita una mia personalissima forma di spiritualità interiore, la quale però non nasce dall'assoggettamento passivo e incondizionato a regole e dogmi predefiniti da questa o quella religione, quanto piuttosto dall'esperienza della vita quotidiana e dal progressivo maturare di convinzioni, pensieri, principi etici, morali che nel tempo ho fatto miei e cui cerco di rimanere coerente e in qualche modo "fedele", seppure tutto ciò è evidentemente qualcosa di molto diverso da un concetto di "religiosità" intesa nel senso tradizionale del termine. Del resto, se da una parte trovo personalmente una "debolezza" il fatto di accettare di aderire passivamente a schemi ideologico/comportamentali predefiniti da qualcuno, che siano di tipo religioso o, per estendere il discorso, anche di tipo politico, non posso non riconoscere che tale aspetto può talvolta invece rivelarsi un vero punto di forza. Pensando ad esempio ai recenti e tristi avvenimenti in Tibet, una nazione che da decenni è stata occupata militarmente, arbitrariamente annessa alla Cina, e successivamente "cinesizzata" massicciamente anche attraverso stragi, violenze, deportazioni e violazioni dei più elementari e universalmente riconosciuti diritti umani, mirando all'annientamento anche "fisico" del popolo tibetano e della sua tradizionale cultura, c'è da osservare come, grazie proprio alla profonda fede religiosa che costituiva il perno fondamentale su cui era fondata la stessa società e cultura tibetana, essa si è mantenuta fortemente radicata nel cuore dei tibetani, e non è stata cancellata né indebolita neanche da decenni di dominio cinese e di violenta e ininterrotta repressione. Per concludere, credo che l'essere fondamentalmente"esterno" alle questioni di tipo religioso mi consente di guardare ad esse con maggiore serenità, lucidità, chiarezza, obiettività, indipendenza, in modo assolutamente scevro da pregiudizi, positivi o negativi che siano, e di riconoscere, di volta in volta, ciò che in esse c'è di positivo o di meno condivisibile.
LORENZO: Quali sono i tuoi prossimi progetti?
GIUSEPPE: Di progetti "concreti" già in qualche modo in corso ce ne sono fondamentalmente due.
Il primo è il nuovo CD del progetto "Hall of Mirrors" in collaborazione con Andrea Marutti/Amon, progetto che, in questa specifica occasione, si avvarrà anche della collaborazione di Andrea Freschi/Subinterior e di Andrea Ferraris.
Il secondo invece è un progetto di raccolta, recupero, re-editing, ampliamento e remastering di vecchio materiale di matrice drone-ambient-etnica che è stato solo in piccola parte pubblicato, e solo su CD-R, da etichette ufficiali (mi riferisco al mini "Lanna Memories" uscito nel 2002 per Taâlem), e in gran parte invece realizzato esclusivamente come piccola autoproduzione artigianale "casalinga", mai pubblicato e quindi mai distribuito attraverso canali ufficiali (mi riferisco a "Distant Skylines", del 2001). Tutto questo materiale, che considero particolarmente rappresentativo e significativo per quanto riguarda la mia attività artistica, sarà completamente rivisto, rilavorato, ampliato e "riorganizzato" in un unico album, il cui titolo sarà probabilmente"Travel Diary", che conto poi di far pubblicare in veste "ufficiale" e su supporto CD da qualche valida etichetta del settore.
LORENZO: L'ambizioso "Sator" avrà un seguito?
GIUSEPPE: Di fatto "Sator" ha già avuto un seguito, che ha visto la luce attraverso il CD "Reflections on Black" pubblicato sempre in collaborazione con Andrea Marutti/Amon a nome progetto "Hall of Mirrors".
Anche il secondo "capitolo" del progetto Hall of Mirrors, come spiegavo poco sopra, è in fase avanzata di realizzazione, e quindi chi ha apprezzato "Sator", e magari anche "Reflections on Black", potrà in un prossimo futuro "godere" anche dell'ascolto del nuovo Hall of Mirrors, il cui titolo dovrebbe essere "Forgotten Realm".
LORENZO: Nimh dal vivo è qualcosa di consistente ? Hai delle idee in merito?
GIUSEPPE: Da come avrai forse compreso, quando poco fa ti descrivevo il mio "modus operandi" per quanto riguarda la realizzazione della mia musica e dei miei CD, appare abbastanza chiaro che questa stessa musica, nata fondamentalmente in studio, con registrazioni effettuate in tempi e modi diversi, rielaborate e miscelate tra loro in momenti successivi, per lo più attraverso un sofisticato software di editing e montaggio audio, non può essere agevolmente ed efficacemente riproposta dal vivo in una forma che sia uguale o quanto meno simile all'originale, se non adottando "espedienti" che sinceramente trovo un po' "disonesti"e poco gratificanti da utilizzare, quale ad esempio mandare in esecuzione delle "ricche" basi preregistrate su CD (o attraverso un computer), e intervenire solo in minima misura con parti suonate effettivamente "dal vivo".
Per poter proporre delle performance dal vivo che siano effettivamente definibili tali dovrei quindi stravolgere completamente il mio abituale modo di comporre musica e il mio approccio alla realizzazione della stessa, cosa che in tutta onestà non mi sento di fare perché, molto semplicemente, è una cosa che non mi attrae e non mi interessa più di tanto.
Peraltro debbo aggiungere che sono piuttosto contrario, almeno per quanto mi riguarda, e per quanto riguarda lo specifico genere musicale che propongo, a prendere in considerazione esibizioni live in contesti che non siano in grado di garantire delle condizioni d'ascolto quanto meno ragionevoli per chi dovrà assistere al concerto, e delle condizioni di spazio/ordine/amplificazione/acustica/organizzazione accettabili per me e per i miei eventuali collaboratori. Per intenderci non proporrei una mia performance live in un pub, tanto per fare un esempio, o in un cortile universitario, sulla terrazza di un condominio o in una stanza di un inadeguato centro sociale dove è presente gente che parla, mangia, beve, fuma, e magari si trova lì per caso e non perché venuta intenzionalmente ad assistere alla performance. Le rarissime volte che ho scelto di suonare dal vivo, peraltro sempre in formazione con altri amici/musicisti, proprio per poter proporre delle performances in cui tutto ciò che si ascoltava in sala era suonato effettivamente in tempo reale senza ricorrere a basi preregistrate, ho accettato di farlo soltanto in situazioni che ritenevo adeguate, quindi potendo sistemare la strumentazione su un palco di dimensioni sufficienti e ragionevolmente attrezzato per poter disporre e utilizzare comodamente tutte le apparecchiature, potendo fruire di un sistema di amplificazione di qualità adatta a "sopportare" e valorizzare la performance, e potendo contare su un pubblico che si fosse riunito in una sala sufficientemente ampia, posizionato su comode postazioni a sedere, con la sola, specifica intenzione di assistere alla performance dal vivo. Mi rendo perfettamente conto che non è facile trovare opportunità di proporre esibizioni dal vivo in contesti che garantiscano condizioni così favorevoli, ma d'altro canto credo che sia estremamente mortificante, e sostanzialmente controproducente per gli artisti stessi e per la diffusione della musica sperimentale di un certo livello e di una certa qualità, accettare compromessi che finiscano per snaturare le ragioni stesse per cui essa dovrebbe essere proposta dal vivo, e cioè renderla fruibile, nella sua forma migliore, ad un pubblico seriamente intenzionato ad ascoltarla con la necessaria attenzione/concentrazione e con sincera partecipazione all'evento.
LORENZO: Come vedi la tua musica in simbiosi con installazioni di arte contemporanea?
GIUSEPPE: Riallacciandomi in qualche modo al discorso di cui sopra, in cui spiego quanto dal mio punto di vista sia fondamentale, per un certo genere di musica, poterla proporre soltanto laddove le condizioni di fruizione siano ottimali, è evidente che tali condizioni possono verificarsi soltanto quando, di contorno, non esistano elementi di disturbo o anche semplicemente di distrazione. Credo infatti nella assoluta necessità di poter godere di un ambiente d'ascolto che favorisca attenzione e concentrazione, giacché una musica che, per spiegarmi meglio, non è costruita su orecchiabili melodie/ritmi/canti come ad esempio la musica pop e il rock, ma è costruita piuttosto su combinazioni di suoni particolari e inediti, pause, silenzi, lenti missaggi e dissolvenze, sottili sfumature, quasi impercettibili dettagli, necessita di condizioni d'ascolto molto particolari per poter essere recepita e apprezzata al meglio. Del resto anche quando, semplicemente, desidero fare in casa un ascolto attento di un CD di musica del medesimo genere, non lo faccio mentre sto mangiando, o lavorando al computer, o mentre parlo con qualche amico, e men che mai utilizzando un impianto di riproduzione che non sia sufficientemente adeguato; di solito siedo comodamente sul divano del mio salotto, in condizioni di massima tranquillità e silenzio, organizzandomi in modo tale da non dover essere interrotto fino a che il CD non sia arrivato a conclusione, e mando quindi in riproduzione il CD attraverso un impianto stereo di buona qualità in grado di valorizzare al meglio il contenuto sonoro di quanto sto andando ad ascoltare.
Per questa ragione, pur magari non escludendo il fatto che la mia musica potrebbe potenzialmente essere adatta a sonorizzare installazioni d'arte contemporanea, di fatto in tale contesto andrebbe a svolgere esclusivamente un ruolo di "contorno", fungendo sostanzialmente da "tappezzeria sonora" per un ambiente in cui l'attenzione del visitatore sarebbe probabilmente concentrata sull'installazione, o quanto meno "contesa" tra l'osservazione dell'installazione e l'ascolto della musica di sottofondo. Sinceramente non credo che troverei particolarmente interessante un'esperienza del genere, soprattutto perché credo che esistano in circolazione proposte musicali diverse dalle mie che, per come sono concepite, composte e strutturate, sarebbero senz'altro più adatte e "vocate" ad essere impiegate in contesti di questo tipo. Estendendo il discorso, ci tengo molto a specificare che in un' era in cui l'abbinamento di arti diverse (musica, fotografia, video, grafica, installazioni, danza...) e la multimedialità piuttosto spinta, talvolta addirittura "forzata" direi, sembrerebbe essere diventata quasi un "obbligo" irrinunciabile, quasi una "chiave magica " per aprire le porte alla diffusione delle varie arti, mi trovo (probabilmente in netta minoranza) a professarmi convinto sostenitore di forme d'arte più prettamente "monomediali", in grado quindi di convogliare l'attenzione di chi la fruisce su un unico e specifico soggetto, proprio per poterne cogliere con attenzione, e senza distrazioni altre, tutta la bellezza nelle sue più recondite sfumature, nei dettagli più nascosti, negli elementi costitutivi che, per quanto davvero fondamentali, possono invece sfuggire se osservati/ascoltati/fruiti con una certa superficialità. Ovviamente queste mie considerazioni non vogliono essere assolutamente rigide, ma attraverso questo discorso voglio mettere in guardia chi troppo spesso si lascia "abbagliare" e affascinare da una apparente "ricchezza" e "abbondanza" estetica/esteriore che in realtà a volte cela soltanto una commistione malamente integrata e scarsamente ponderata di elementi di tipo eterogeneo che, analizzati singolarmente con un minimo di attenzione, evidenziano mediocrità artistica e scarso valore effettivo.
LORENZO: Una lettura che si addice a "The Unkept Secrets"?
GIUSEPPE: Per evitare "forzature", debbo candidamente ammettere che, pensando alle letture degli ultimi anni, non me ne viene in mente alcuna in grado di poter "rappresentare" o più semplicemente "accompagnare" efficacemente l'ascolto di "The Unkept Secrets". Questo probabilmente perché leggo quasi esclusivamente letteratura di viaggio, con preferenza per ambientazioni in Asia e Medio Oriente, e questo panorama non è perfettamente sovrapponibile alle sonorità del CD e alle atmosfere che esso intende descrivere ed evocare, se non in piccola parte.
Non voglio però sottrarmi completamente alla tua domanda, e quindi citerò ugualmente alcuni titoli di libri che ho trovato particolarmente interessanti e che, in qualche modo, possono avere indirettamente influenzato anche il mio modo di esprimermi attraverso la musica.
Cominciamo con il già citato "Un altro giro di giostra", di Tiziano Terzani, autore cui ho dedicato l'ultima traccia del CD, ma di cui, prima ancora, suggerirei i titoli "In Asia" e "Un indovino mi disse".
Nell'intervista ho anche parlato di Tibet, e su tale argomento suggerirei vivamente "Ritorno al Tibet" di Heinrich Harrer, "Ama Adhe - La voce che ricorda" di Adhe Tapontsang, e, assolutamente essenziale e chiarificante, "La libertà nell'esilio" del Dalai Lama. Abbiamo anche parlato di didjeridoo e degli aborigeni australiani, e a tale proposito consiglierei senz'altro "Custodi del sogno", di Harvey Arden. Parlando sempre di tematiche in qualche modo "scottanti" proporrei ancora "Liberi di morire" di Sergio Ramazzotti, a proposito della guerra in Iraq, e "Buskashì" di Gino Strada, sulla guerra in Afghanistan.
Sempre sull' Afghanistan, ma di genere molto diverso (si tratta del resoconto di un lungo viaggio), consiglierei vivamente "In Afghanistan" di Rory Stewart, mentre per concludere con una lettura un po' più "scanzonata", ma non per questo meno interessante, provate a leggere "In vespa" di Giorgio Bettinelli, il resoconto di un reale e avventuroso viaggio in scooter da Roma a Saigon.
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