[ Interviste / Interviews ]

 

Intervista agli HALL OF MIRRORS, a cura di Lorenzo Becciani (Divine).
Pubblicata su Dagheisha, Gennaio 2010.

 

LORENZO: Quali sono gli elementi che contraddistinguono Hall Of Mirrors da tutti gli altri vostri progetti?

GIUSEPPE: Non credo che si possa focalizzare uno o più elementi particolari che possano contraddistinguere in modo preciso e univoco il progetto HALL OF MIRRORS rispetto agli altri vari progetti, da solo e collaborativi, che mi hanno visto partecipe negli ultimi anni.
Approcciandomi ad un nuovo progetto di norma non ricerco una particolare “formula” a priori, e l’obiettivo che mi pongo è sempre lo stesso, cioè cercare di realizzare musica di buona qualità, emotivamente coinvolgente, e per quanto possibile almeno un po’ “originale”…
Ovviamente quando si tratta di collaborazioni, l’alchimia che in qualche modo si tende a ricercare è il miglior connubio tra le diverse influenze ed esperienze personali che ognuno dei partecipanti è in grado di apportare, e quindi il progetto Hall of Mirrors in particolare è evidentemente il risultato della “fusione” tra gli elementi più “tipici” della musica di Andrea, e cioè atmosfere tendenzialmente oscure e drone oriented, tempi dilatati, suoni di origine elettronica o comunque profondamente trattati attraverso elaborazioni elettroniche, ed elementi invece più caratteristici del mio abituale modo di fare musica, quindi elementi di impronta etnica, sonorità a volte distorte e più “aggressive”, uso della chitarra elettrica, e composizioni in cui spesso risaltano momenti di particolare impatto e dinamica.

ANDREA: Per quanto mi riguarda, credo che una differenza significativa tra Hall of Mirrors e i miei altri progetti sia il fatto di lavorare insieme “fisicamente” nello stesso spazio insieme a Giuseppe. A parte i miei progetti solisti, sono coinvolto in altre collaborazioni con alcuni amici (Sil Muir con Andrea Ferraris e Molnija Aura con Davide Del Col) ma i lavori creati con queste sigle sono stati realizzati in sedi separate per “stratificazione”, come in una specie di grande partita di ping-pong giocata a distanza. Lavorare con un’altra persona è per me dunque l’elemento che contraddistingue questo progetto rispetto agli altri. Passare diverse ore al giorno insieme in studio porta il tutto ad un livello superiore, sia per quanto concerne le possibilità di interazione e lo scambio di idee, sia per la possibilità di raggiungere risultati in cui la somma delle parti è davvero determinante. Prendendo in esame i due CD di Hall of Mirrors realizzati fino ad ora (ma senza dimenticare anche “Sator”, pubblicato a nome Amon / Nimh), alcune sequenze di synth contenute in questi album sono state ottenute suonando direttamente a “quattro mani” sulla tastiera, così come particolari trattamenti sonori sono stati realizzati in tempo reale manipolando insieme i suoni attraverso diversi effetti contemporaneamente.

LORENZO: Ritenete che questo album possa essere considerato come la “realizzazione” di quelli che erano gli obiettivi al momento di dare respiro al progetto oppure la presenza della chitarra elettrica ha comportato un cambio di direzione?

GIUSEPPE: Come già accennavo poco sopra, almeno per quanto mi riguarda, di fronte ad un nuovo progetto, e quindi anche in occasione della registrazione di un nuovo CD, mi pongo sempre in modo molto “aperto”, e assolutamente disponibile ad ogni “deriva” stilistica e sonora che possa comunque condurre ad un risultato interessante e soddisfacente.
Nel caso specifico, al momento in cui con Andrea abbiamo iniziato la registrazione dell’album, avevo già alcune idee in mente, e avevo “abbozzato” alcune micro-strutture, nelle quali era previsto l’uso della chitarra, che potevano essere adottate come possibile punto di partenza per realizzare i nuovi brani. Ne ho parlato con Andrea, a lui sono piaciute sia le idee che gli “spunti” che avevo già
registrato su PC come possibili “linee guida”, e quindi da questo materiale ancora abbastanza “grezzo” siamo “partiti” lavorando fianco a fianco nella realizzazione dei singoli brani, e successivamente nella messa a punto dell’album nella sua versione completa e definitiva.
Voglio inoltre sottolineare il significativo contributo dei nostri “compagni di viaggio”, Andrea Freschi (Subinterior, Konau…) e Andrea Ferraris (Ur, Sil Muir…) che hanno partecipato a questa “avventura” e che voglio vivamente ringraziare, così come voglio sentitamente ringraziare anche Stefano Gentile di Silentes, che ha accettato di pubblicare non solo il recente “Forgotten Realm” ma anche il precedente album “Reflections on Black”, credendo nel progetto “Hall of Mirrors” fin dalla sua nascita, e offrendoci con disinteressata ed entusiastica disponibilità tutto il suo supporto e la sua ben nota e consolidata professionalità.

ANDREA: “Reflections On Black”, il primo CD del progetto, si concludeva con un brano costruito intorno agli arpeggi della chitarra elettrica di Giuseppe (“Recovery”), ma anche in altri due pezzi del disco la chitarra – questa volta suonata da Giulio Biaggi / Nefelhein – era ben presente, sia in forma più melodica/riconoscibile (“Entrance”) che in forma di drone distorto (“Transmutation”). Tra “Reflections On Black” e “Forgotten Realm” non noto un particolare ed evidente cambio di direzione. Da questo punto di vista il secondo CD mi sembra una degna evoluzione dei suoni contenuti nel primo album. In realtà credo che il significativo elemento di novità rispetto al precedente lavoro, sia stato l’inserimento di parti più marcatamente “etniche”; per esempio la – devo dirlo: stupenda - parte di thai flute presente nel brano “Gates of Namathur” e il didgeridoo – seppur sommerso nel “climax” del momento – in “Decadent Splendour”. Mi unisco a Giuseppe nel sottolineare il valore dei contributi – determinanti, in alcuni frangenti - di Andrea Freschi e Andrea Ferraris, nostri ospiti in questo secondo capitolo, e nel ringraziare Stefano di Silentes per la pubblicazione dei nostri dischi.

LORENZO: Il vostro legame con l'Abruzzo si è rafforzato adesso che quella terra ha dovuto subire un tracollo fisico e finanziario?

GIUSEPPE: Quello che è successo in Abruzzo è davvero sconvolgente, e la cosa mi ha toccato profondamente perché è una terra cui sono strettamente legato fin dalla mia infanzia: mio padre è nato a L’Aquila e tutt’ora vive lì. Nei giorni delle scosse di maggiore intensità, e anche nei mesi successivi in cui la terra ha comunque continuato a tremare, per fortuna mio padre si trovava a Roma, ma abbiamo vissuto con grande apprensione e sconcerto le notizie che via via ci arrivavano, tramite TV, ma soprattutto attraverso amici, parenti e conoscenti che si trovavano lì. Seppure in misura lieve, la stessa casa dove sono solito passare parte delle mie vacanze estive è stata danneggiata, e tutt’ora è parzialmente inagibile. In realtà con Andrea avevamo programmato da tempo di tornare in Abruzzo a registrare il terzo CD di “Hall of Mirrors” proprio nel periodo in cui poi si sono verificati gli sciami sismici, ma a causa di quello che stava succedendo abbiamo ovviamente preferito rinunciare. In realtà, ancora a distanza di tanto tempo, non riesco a rendermi pienamente conto di quello che è veramente accaduto… Di fatto L’Aquila, almeno così come mi piace ricordarla, non esiste più, e, nonostante il grande sforzo che è stato oggettivamente compiuto per riuscire in tempi davvero brevi ad offrire a molta gente quanto meno una sistemazione e un alloggio dignitoso, credo che purtroppo nessuno abbia veramente in mente di tornare a ricostruirla. Parlo ovviamente di chi ha (o avrà in futuro…) il potere politico; la gente del posto continua ancora a sognare e chiedere con determinazione la ricostruzione e la rinascita della città, ma credo che in realtà siano pienamente consapevoli che si tratti soltanto di un sogno, un’illusione, e non di una reale e concreta prospettiva futura. Fa male pensarlo… e forse ancora di più dichiararlo così apertamente… ma pur con grande angoscia penso che questa sia la realtà dei fatti, ed è sufficiente percorrere a piedi le poche centinaia di metri di quello che era il Corso, e il “cuore pulsante” de L’Aquila, cioè l’area dei portici e della piazza centrale (il resto del centro è tuttora chiuso e non “visitabile”) per rendersene conto. Gli unici edifici che molto probabilmente torneranno presto al vecchio splendore saranno come al solito, e non certo per il mero valore artistico-architettonico, soltanto le chiese e in generale gli edifici di particolare interesse religioso… Perenni ed emblematici monumenti all’ “atavico” predominio e alla “egemonia culturale” della superstizione rispetto ai valori della ragione e alle reali e concrete necessità del genere umano.

ANDREA: Essendo originario del Nord Italia, al contrario di Giuseppe non ho un legame parentale con questa regione, ma ho comunque avuto modo di passare un po’ di tempo nelle provincia de L’Aquila negli ultimi 7-8 anni insieme a Giuseppe e a sua moglie. I terremoti mi hanno sempre fatto una grande impressione e ricordo in particolare quello che colpì l’Irpinia nel 1980 quand’ero bambino. Fa’ un enorme differenza però l’essere stato a L’Aquila prima del disastro, riconoscere poi in TV le piazze e le strade in cui ho camminato e vederle devastate. Non riesco nemmeno lontanamente ad immaginare che dolore possano provare le persone che abitano la città e coloro che sono originari di quei luoghi. E’ devastante poi apprendere di come la speculazione – finanziaria e politica - e il malgoverno abbiano avuto un ruolo determinantemente nefasto sia nel “prima” che nel “dopo” di un evento simile. Spero vivamente che la città possa riprendersi nei prossimi anni, sebbene mi trovi concorde con l’analisi fatta da Giuseppe. Altresì a livello personale mi auguro che nonostante tutto sia presto possibile lavorare al prossimo capitolo di Hall of Mirrors negli stessi luoghi e con le stesse modalità di sempre.

LORENZO: Avete intenzione di suonare dal vivo o partecipare a installazioni di arte contemporanea?

GIUSEPPE: Personalmente le mie apparizioni dal vivo sono estremamamente rare, e questo perché il genere di musica che abitualmente registro e propongo su CD è sostanzialmente musica “da studio”, realizzata cioè attraverso metodi di lavorazione e processi di editing che non sono tecnicamente riproducibili in un contesto “live”. Talvolta però, in formazione con altri amici musicisti, ho partecipato volentieri ad alcune performances dal vivo, sempre in contesti molto selezionati, e in grado di garantire le migliori condizioni, sia per chi è impegnato sul palco a proporre la propria musica, sia per chi è in sala e merita di poterla fruire in condizioni d’ascolto ottimali. Al momento non abbiamo comunque in programma esibizioni dal vivo, seppure in un futuro più o meno remoto la possibilità non è del tutto esclusa. Per ragioni in qualche modo analoghe non sono particolarmente interessato a partecipare ad installazioni di arte contemporanea, giacchè credo che il genere di musica che proponiamo, basato spesso su lente dinamiche, sottili sfumature, quasi impercettibili dettagli, progressive e cangianti variazioni timbriche, possa essere fruito e apprezzato al meglio solo attraverso ascolti attenti e “dedicati”, e non quindi come semplice “sottofondo sonoro” in situazioni in cui il reale “soggetto” su cui è convogliata l’attenzione di chi viene a fruire l’installazione è evidentemente un altro. Anche da convinto “sostenitore” di un approccio più tradizionalmente “monomediale” alle arti, in tempi in cui invece impera ovunque una sorta di multimedialità spesso fin troppo “forzata”, credo che una musica che nasca esclusivamente per essere “ascoltata”, quindi non composta espressamente per fungere da “background” per una installazione di arte contemporanea, non sia troppo adatta allo scopo; e comunque il modo migliore per apprezzarla e comprenderla al meglio sarà sempre e comunque una più “classica” esibizione dal vivo oppure (meglio ancora) un attento ascolto attraverso un CD riprodotto da un impianto stereo di buona qualità.

ANDREA: Anch’io non mi sento di escludere completamente la possibilità che in futuro Hall of Mirrors possa proporsi dal vivo, sebbene la cosa al momento non sia in programma. Negli ultimi anni ho avuto modo di suonare dal vivo di tanto in tanto. Quando ho cominciato la cosa mi stimolava molto, ma con il passare del tempo ho perso interesse e per ora ho deciso di interrompere, seppur non “ufficialmente” questo tipo di attività.

LORENZO: Esiste una sala degli specchi che riflette l'immagine che vi siete fatti nella vostra mente?

GIUSEPPE: L’idea della “Sala degli Specchi” è in realtà un concetto piuttosto “astratto”… una suggestione… Un’immagine che nella mia mente appare ancora confusa, sfocata, imprecisa, evenescente… Non ho mai cercato di metterla “a fuoco” troppo seriamente a dire il vero, né come immagine (ma di certo la vedrei come un’immagine in bianco e nero), né più razionalmente come concetto… ma secondo me va bene ed è giusto così….

ANDREA: Non riesco a non associare la “Sala degli Specchi” con la meravigliosa opera di Niki de Saint Phalle intitolata “L’imperatrice/Sfinge” ospitata nell’incredibile “Giardino dei Tarocchi” che si trova in Toscana dalle parti di Capalbio in provincia di Grosseto. Le pareti interne e il soffitto della costruzione sono totalmente ricoperte da frammenti di specchi ed anche parte dell’arredamento lo è… Pare che durante la costruzione del giardino – durata più di diciassette anni – l’artista abbia abitato in questa casa “magica” per lunghi periodi di tempo. Si tratta di un posto davvero fantastico di cui consiglio assolutamente la visione a chiunque!

LORENZO: Che rapporto avete con la musica etnica?

GIUSEPPE: Personalmente molto buono. Amo la musica etnica, ovviamente non tutta e non indistintamente, mentre invece non amo affatto quelle forme musicali di matrice folkloristico-popolare che troppo spesso vengono erroneamente definite “musica etnica”.
E’ un errore molto comune anche tra molti “addetti ai lavori” che confondono spesso e con estrema facilità tali espressioni musicali con quella che invece è la più “vera”, antica, pura e genuina musica etnica. E’ sicuramente vero che entrambi i “generi” sono accomunati da una sostanziale appartenenza a determinate e circoscritte aree geografiche, ma definire parimenti “musica etnica”, tanto per fare un esempio la “Tammurriata nera”, canzone popolare napoletana composta poco più di cinquanta anni fa, e la millenaria musica tradizionale-rituale degli aborigeni australiani, è evidentemente una grande forzatura, o quanto meno una eccessiva semplificazione.
Aggiungo ancora che ascolto abitualmente musica etnica, e che possiedo e utilizzo spesso nei miei CD strumenti etnici (seppure in modo non proprio “convenzionale”), per lo più di origine asiatica, personalmente reperiti (talvolta anche con una certa difficoltà) soprattutto in Thailandia.

ANDREA: Beh, tra noi due il più competente – e appassionato - della materia è sicuramente Giuseppe. Non ho mai approfondito molto la conoscenza dell’argomento e le mie sporadiche frequentazioni del genere si limitano alla musica Qawwali di Nusrat Fateh Ali Khan, diffusa nel mondo grazie anche all’etichetta Real World di Peter Gabriel, e alla musica Gamelan indonesiana.

LORENZO: Come avete composto le tracce di 'Forgotten Realm' e che tipo di strumentazione avete utilizzato?

GIUSEPPE: “Forgotten Realm” è stato composto e registrato tra maggio e ottobre del 2007, seppure la parte preponderante del lavoro risale più specificatamente ad agosto/settembre, periodo durante il quale ci siamo trasferiti in Abruzzo per alcune settimane, portando con noi la strumentazione e tutto quanto necessario a registrare l’album. Quanto a strumentazione… abbiamo utilizzato un po’ di tutto. Sintetizzatori digitali, analogici, sintetizzatori e sequencers software, campionatori, effetti e multieffetti vari, chitarra elettrica… ma anche didgeridoo, flauto, field recordings, sorgenti sonore di vario tipo e genere, di tipo acustico ed elettronico. Il tutto ovviamente “organizzato” ed elaborato in vario modo attraverso l’uso di un versatile software di montaggio audio.

ANDREA: Alcuni dei brani che compongono il CD (“The Crossing”, “Decadent Splendour” e “The Crossing”) sono stati realizzati partendo dalle “micro-strutture” a base di chitarra a cui si riferiva Giuseppe rispondendo a una precedente domanda, approntate da lui in quel di Roma. Partendo da lì, una volta in Abruzzo abbiamo aggiunto altre parti sperimentando insieme diverse soluzioni, introducendo anche i field-recordings e le basi “donateci” da Andrea Ferraris e Andrea Freschi, amalgamando il tutto con un accurato mixaggio. Altresì abbiamo registrato altri due brani ex-novo (“Gates of Namathur” e “Among the Ruins”) con i quali, nella stesura della scaletta, abbiamo deciso di inframezzare i tre precedenti. Data la “corposità” del disco, abbiamo preferito escludere un’ulteriore brano approntato in quell’occasione riservandoci di destinarlo eventualmente a futuri utilizzi slegati da un album, per esempio su una compilation. Tra i vari strumenti elettronici utilizzati vorrei menzionare i sintetizzatori Korg MS20 e Roland JD-800, e il campionatore Akai S6000.

LORENZO: Quali sono gli artisti dark ambient che trovate interessanti?

GIUSEPPE: Il termine “dark ambient” include sicuramente un’ampia serie di sotto-generi, spesso dai “contorni stilistici” non ben definibili e “classificabili”…
Ad ogni modo, intendendo il temine “dark-ambient” in senso molto lato, posso dire che ci sono moltissimi artisti, anche piuttosto diversi tra loro, che stimo, apprezzo, e ascolto abitualmente, o che magari ho particolarmente apprezzato in passato. Senza alcun ordine di preferenza posso citare come nomi sicuramente più noti Nordvargr, Desiderii Marginis, Lustmord, Thomas Köner, Kammarheit, Caul… Ci sono però molti altri artisti meno noti che io stesso conosco più marginalmente, e dei quali ho avuto modo di ascoltare album anche molto molto interessanti. Parlando invece di artist/progetti italiani i primi nomi che mi vengono in mente sono sicuramente New Risen Throne, Eidulon, Olhon, Aethere, Subinterior...

ANDREA: Utilizzando la sigla “Dark Ambient” nell’accezione più ampia del termine e includendo quindi tutto li movimento “Ambient Industrial” direi innanzitutto l’Italiano Bad Sector, poi i Maeror Tri, il “mostro sacro” del genere Lustmord, Thomas Köner, Alan Lamb, Cisfinitum, Subinterior, Ornament…

LORENZO: Chi si è occupato dell'artwork e quale significato possiamo dargli?

GIUSEPPE: Anche in questo caso abbiamo lavorato insieme alla sua progettazione e realizzazione. Cercando delle immagini che potevano in qualche modo “descrivere” opportunamente il contenuto e le atmosfere del CD abbiamo selezionato di comune accordo delle belle foto scattate da mio fratello durante alcuni suoi viaggi nel sud-est asiatico. Quindi partendo da una mia prima rudimentale “bozza” per una possibile “front cover” Andrea ha poi ampliato e sviluppato in modo straordinario l’idea di base, ottenendo un risultato finale che considero davvero straordinario e che personalmente non sarei mai stato in grado di ottenere. Quanto al significato, credo che molto semplicemente sia un artwork che descriva bene le atmosfere oscure, decadenti ma al tempo stesso “imponenti” e a tratti persino “epiche” che è possibile riscontrare nella musica del CD. I “soggetti monumentali” di templi e rovine di antichi imperi asiatici è inoltre una ulteriore “connessione” con il mio personale interesso verso l’Asia e verso la musica etnica, la cui influenza è comunque percepibile, seppure in modo piuttosto “subliminale”, in alcune parti dell’album.

ANDREA: Sulla realizzazione dell’artwork direi che ha già detto tutto Giuseppe, le foto scattate da suo fratello sono semplicemente fantastiche e dal mio punto di vista è stato molto significativo poter attingere ad un tale patrimonio di materiale assolutamente originale per le grafiche del nostro disco. La scaletta dei brani di “Forgotten Realm”, così come anche quella del precedente CD, è una sorta di viaggio/percorso e credo che non avremmo potuto trovare supporto iconografico migliore per descriverlo se non nelle foto di Enrico.

LORENZO: Come sono nate le collaborazioni con Andrea Freschi e Andrea Ferraris?

GIUSEPPE: Molto semplicemente sia io che Andrea Marutti siamo in contatto con entrambi da anni, ne abbiamo grande stima e apprezziamo la musica che solitamente producono, e quindi al momento in cui abbiamo iniziato a pensare a quali avrebbero potuto essere i nostri “compagni di viaggio” per il secondo capitolo di “Hall of Mirrors” i nomi di Andrea Freschi e Andrea Ferraris sono stati tra i primi a saltare fuori…

ANDREA: Mi sento molto legato ad Andrea Ferraris e Andrea Freschi, entrambe sono persone dotate di un’onestà ineccepibile, una cosa diventata ormai molto rara al giorno d’oggi. Con Andrea Freschi ho avuto modo di collaborare pubblicando su Afe due CD-R del suo progetto Subinterior, mentre la sua Opaco Records ha ospitato il primo album pubblicato a mio nome intitolato “The Brutality of Misbreathing”. Ho avuto modo di pubblicare anche materiale di Andrea Ferraris con la sua “Industrial Band” Ur, che tra l’altro è stata battezzata dal vivo nel 2005 proprio durante il party per i festeggiamenti del decennale di attività dell’Afe Records. Come scrivevo già più sopra, Andrea Ferraris ed io collaboriamo insieme al progetto Sil Muir, il cui primo CD è stato pubblicato la scorsa estate su Diophantine negli USA. I field-recordings di Andrea Freschi in “Gates of Namathur” hanno dato un’enorme spinta in più al brano, mentre la chitarra “trasfigurata” di Andrea Ferraris che chiude “Among the Ruins” ha un che di soprannaturale… Un grande grazie ad entrambi!

LORENZO: Lasciate un commento su ognuna delle cinque composizioni..

GIUSEPPE: Mi riesce sempre molto difficile “commentare” in qualche modo la musica che io stesso realizzo… Proverò magari a sottolineare qualche elemento che dal mio punto di vista è interessante rilevare…
“The Crossing” è evidentemente un lungo brano di tipo introduttivo. Inizia con atmosfere abbastanza “statiche” e tipicamente “drone oriented” per poi, un po’ “a sorpresa”, introdurre a sua volta il suono di una chitarra elettrica effettata dal suono molto “morbido”, ma con bassi “pulsanti”, che ricorrerà anche in altre parti del CD.
“Gates of Namathur” è forse il brano che personalmente preferisco. Qui la chitarra elettrica è assente, e compare invece, anche qui piuttosto “a sorpresa”, il suono molto trattato di un flauto thailandese ( “khlui”) che caratterizza il brano donandogli un’impronta vagamente “etnico-rituale”, molto in linea, come atmosfere, con le immagini utilizzate per le grafiche del CD.
In “Decadent Splendour” torna il suono piuttosto “etereo” di una chitarra, non troppo dissimile da quella presente in “The Crossing”, ma la struttura del brano è molto diversa. Nella parte finale in particolare emerge una parte molto “rumorosa”, ritmica, quasi industriale, su cui è sovrapposta in sincrono una parte ritmica di didgeridoo che, nell’amalgama sonoro, appare quasi indistinguibile dalla parte ritmica “sintetica”.
“Among the Ruins” inizia apparentemente come un “placido” e fluttuante brano tipicamemente “ambient”, ma una lenta e progressiva “metamorfosi” trasfigura completamente le atmosfere e le sonorità, che divengono molto più aspre, distorte, metalliche, “aggressive”, culminando in un picco dinamico che poco oltre scema in uno pseudo-silenzio dominato da profondi drones di sottofondo, sovrapposti ad una parte di chitarra trattata di Andrea Ferraris che al momento del montaggio audio ci è parsa assolutamente “perfetta” per chiudere “in bellezza” il brano…
“The Fortress” è il brano più “atipico”, come sonorità e atmosfere, rispetto agli altri brani del CD.
La presenza di parti di sequencer accostate a ritmiche cadenzate e “tocchi melodici” di pads sintetici dal sapore vagamente “epico”, il tutto poggiato su substrati di drones, fruscìi, disturbi, ronzìi e arpeggi di chitarra, ne fa un capitolo un po’ “a sé” rispetto al resto del CD. Una chiusura intenzionalmente un po’ “spiazzante” che, in un certo senso, “accende” il dubbio su quale sarà la possibile “direzione” del futuro Terzo Capitolo del progetto Hall of Mirrors.

ANDREA: Già, chissà… Nel frattempo, buon ascolto

 

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