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Claudio Ricciardi: L’albero che Canta - Il Didgeridoo 

 

(Quinta Edizione,  Dicembre 2011, Wondermark -  Libro ordinabile tramite www.amazon.it)

 

 

– RECENSIONI -

 

Finalmente, dopo una lunga gestazione e dopo un lungo lavoro di ricerca, documentazione, e di stesura  dei testi da parte dell'autore, la EUCOS editori ha pubblicato questo splendido e interessantissimo libro di Claudio Ricciardi sul didgeridoo e la respirazione circolare.

Un' opera esauriente, realizzata con evidente passione, impareggiabile competenza, e grande capacità nella scelta degli argomenti e nella loro esposizione, da uno dei personaggi italiani che sicuramente più di ogni altro conosce tutti i segreti del didgeridoo e della nota tecnica respiratoria, utilizzata anche da altri strumenti a fiato diffusi in tutto il mondo, che consente di suonare questo particolare strumento ottenendo un flusso sonoro ininterrotto, ovviando, attraverso un meccanismo che è ben descritto e spiegato anche con l'ausilio di efficaci illustrazioni, alla necessità di interrompere il suono per riprendere il fiato necessario a continuare l'esecuzione.

Il libro però non si limita a trattare questo argomento, spiegando in dettaglio tutte le fasi fondamentali della respirazione circolare, fornendo un’utile guida e diversi suggerimenti per imparare a praticarla  e descrivendo con chiarezza  alcuni esercizi che possono aiutare a questo scopo,  ma affronta piuttosto un'ampia gamma di argomenti, tutti inerenti il didgeridoo e questa particolare tecnica di respirazione.

Claudio Ricciardi infatti non è "soltanto" un ottimo suonatore di didgeridoo, ma è anche un capace scultore, un appassionato conoscitore della cultura degli aborigeni australiani, un musicista impegnato fin  dagli anni '70 in situazioni musicali decisamente non convenzionali (e a tale proposito ricordiamo le sue passate esperienze di canto armonico all'interno della formazione "Prima Materia" di fama internazionale), è un grande appassionato di musica e strumenti etnici, ed è un profondo conoscitore del didgeridoo sotto ogni aspetto. 

Ha sperimentato nel tempo varie tecniche costruttive, anche con l'ausilio di diversi materiali; possiede una vasta collezione di didgeridoos, sia di tipo tradizionale in legno di eucalipto scavato dalle termiti che in altri tipi di legno, diversamente lavorati, nonchè in cristallo, rame, varie materie plastiche; ha insegnato a suonare il didgeridoo a molti principianti, grazie all'efficacia del suo metodo didattico; ha inoltre collaborato e collabora attivamente con altri musicisti realizzando registrazioni e performance live nelle quali continua a dare prova delle sue straordinarie capacità nell'utilizzo del didgeridoo.

"L'albero che canta" è corredato da interessanti foto di didgeridoos e di altri strumenti etnici che condividono con il didgeridoo il fatto di essere suonati facendo uso della respirazione circolare, da interessanti illustrazioni di esecutori di musica tratte dal "Gabinetto armonico" di Filippo Bonanni del 1716, di disegni che illustrano in dettaglio la tecnica della respirazione circolare, da una bibliografia, una discografia essenziale, e un elenco di video VHS che è utile consultare per approfondire le conoscenze intorno a questo strumento e a questa tecnica di respirazione.

Un' ampia appendice di circa 20 pagine, curata da Alberto Furlan, approfondisce la questione storica e politica del progressivo sterminio, ad opera dell'uomo bianco, della popolazione e della cultura aborigena australiana, ci illumina sul significato del "Tempo del Sogno", le pratiche musicali rituali, il significato di queste "performances", l'importanza dei luoghi in cui esse avvengono, il rapporto che tradizionalmente intercorre tra esecutori e "pubblico", l'importanza del corpo, dei suoi movimenti, dei colori e dei disegni rituali sulla pelle...        

Introduce e arricchisce il libro un' efficace prefazione a cura di Roberto Laneri, musicista di notorietà internazionale che ha anche collaborato con Ricciardi alla realizzazione del CD "Inside Notes", che evidenzia i principali parallelismi tra il suonare il didjeridoo e praticare il canto armonico, attività alle quali tutt'ora egli si dedica con grande passione ed entusiasmo.

 

Giuseppe Verticchio (2003 - Oltre il Suono - www.oltreilsuono.com)

 

 

E' finalmente uscito quest' ottimo lavoro nato dalla collaborazione di Claudio Ricciardi con Alberto Furlan e Roberto Laneri.

Il libro non è un manuale per imparare a suonare il didgeridoo ma semmai un approfondimento sulla tecnica della respirazione circolare applicata al didgeridoo.

I disegni, gli esercizi e le parole aiutano a comprendere più a fondo questa tecnica che permette di suonare in modo continuo senza interrompere il suono.

La parte che tratta le origini dello strumento e lo studio dei materiali utilizzati per costruirlo (da parte degli occidentali) è completa e interessante, come d’altronde anche la parte dedicata a tutti gli strumenti del mondo che utilizzano tale tecnica: nessuno si aspetterebbe che siano così tanti.

 

"Il didgeridoo dopotutto non è niente. E' solo lo spazio interno di una forma cava di legno. In quello spazio non si fa proprio nulla. La forma lo fa per te quando qualcosa di impalpabile - come il respiro - entra in quello spazio. Tutto quello che si fa è esalare, prendere di tanto in tanto un respiro dal naso e muovere la lingua. In realtà stiamo respirando, ecco tutto. E suona come nient'altro sulla terra".

(Turner David H.)

 

In appendice troviamo l'importante contributo di Alberto Furlan, "Corpo e paesaggio nella performance rituale musicale degli aborigeni australiani".

 

"Quest'appendice è dedicata ad un'introduzione alla cultura delle popolazioni indigene australiane ed in particolare della pratica rituale musicale nella quale viene spesso impiegato il didjeridu".

(Alberto Furlan)

 

Ilario Vannucchi (www.didgeridoo.it)

 

 

La respirazione circolare, detta anche “respirazione a fiato continuo”, sembra circondata da un alone di mistero e dall’incredulità rispetto alla  possibilità di praticarla.

In realtà è una tecnica che tutti possono imparare e che oggi è utilizzata anche da molti musicisti jazz.

«Nel momento in cui inaliamo l’aria», dice Claudio Ricciardi, musicista ed esperto di digeridoo, «utilizziamo l’aria residua presente nelle guance per espirare e produrre il suono.

Facciamo, cioè, diventare la nostra bocca una piccola riserva d’aria come l’otre della cornamusa e in questo modo riusciamo a produrre un suono che non si spezza mai».

La respirazione circolare, dunque, consente di suonare senza riprendere fiato e, perciò, senza interruzione.

«Questa tecnica porta il corpo ad essere usato come base stessa dello strumento che appare, così, come un suo prolungamento», continua Ricciardi.

«Il didgeridoo e la respirazione circolare sono figli naturali della “fisicità pura” della cultura aborigena australiana ove grande risalto viene dato al corpo e alle sue proprietà espressive e interpretative».

Con la pratica, si amplia la capacità respiratoria, accettuando il rilassamento e la profonda ossigenazione che migliora il ricambio cellulare e l’irrorazione di organi e tessuti.

La calma e il benessere che ne derivano aiutano a sperimentare quello stato meditativo profondo che gli aborigeni chiamano “entrare nel Tempo del Sogno”.

 

"Respiri da Sogno" di Letizia Michelozzi; La Repubblica delle Donne, supplemento de La Repubblica del 20-12-2003

 

 

Ecco riuniti in un volume una serie di contributi (alcuni dei quali anticipati sulle pagine di World Music Magazine nel 2002) realizzati o raccolti da Claudio Ricciardi, biologo, musicista e costruttore di didgeridoo.

Il grande pregio di questo lavoro è di costituire un saggio organologico sullo strumento aborigeno e una guida alla sua costruzione, e al contempo un testo in grado di insegnare la tecnica della respirazione circolare, fondamentale per suonare non solo il didgeridoo ma tutta una serie di strumenti a fiato, elencati con brevi note nel libro di Ricciardi.

A ciò si aggiungono l’affascinante introduzione “metamusicologia” di Roberto Laneri, che parte da un racconto sufi, e uno studio sugli aborigeni curato da Alberto Furlan, nonché un breve e intenso parallelo tra lo “strumento corporeo” australiano e le launeddas sarde. Bibliografie, discografia, sitografia e un discreto apparato iconografico completano il volume, che consta in tutto di solo 130 pagine.

Come è possibile?

Andando all’essenza, avanzando equamente tra informazioni, simboli e significati, uno sguardo attento alla tecnica, ad uno partecipe alla ritualità, scendendo nel profondo della musica e del corpo umano.

 

Pietro Carfì (World Music Magazine, Anno XIV, n. 65, 2004)  

 

 

Quando ho saputo della pubblicazione del libro “L’albero che canta - Il didgeridoo e la respirazione circolare”, ho subito pensato ad un manuale prettamente tecnico dove avrei trovato solamente elencate tutta una serie di tecniche sull’arte del Didgeridoo e della respirazione circolare.

Invece con mia piacevole sorpresa il libro, dal titolo molto bello e originale a differenza del sottotitolo di poca fantasia, non è propriamente un metodo per imparare a suonare il didgeridoo, in quanto è stato scritto dall’autore Claudio Ricciardi quasi come un racconto.

“L’albero che canta” va oltre la semplice descrizione di “fredde tecniche” alle quali è lasciato un ruolo marginale, soprattutto quelle riguardanti il Didgeridoo a cui forse è dedicato fin troppo poco spazio e approfondimento.

Il libro ha inizio con una bella prefazione del Maestro Roberto Laneri, il quale mette in luce tra le altre cose, un aspetto probabilmente scontato per i musicisti professionisti o per chi ha un minimo di cultura musicale (ma non per la maggioranza delle persone che ascolta e intende la musica come un semplice sottofondo sonoro della propria vita) ovvero la principale differenza tra la musica occidentale in cui l’elemento della melodia regna sovrano e le musiche del resto del mondo, dove la melodia è di fatto ridotta al minimo se non addirittura assente, dove microvariazioni, timbro e ritmo sono gli elementi principali tanto che parafrasando Laneri si possono definire “one-note musics”.

Trovo questa prefazione oltremodo utile in quanto facilita l’approccio a musiche prodotte da strumenti quali il Didgeridoo e simili; infatti non tutti percepiscono la sottile quanto abissale differenza tra le sonorità occidentali e le altre provenienti da altri luoghi del mondo: ricordo a tale proposito un simpatico aneddoto di qualche anno fa, in cui un mio conoscente dopo avermi sentito suonare il didgeridoo, mi chiese se fossi stato in grado di riprodurre alcune canzoni di musica leggera contemporanea!

Dopo la prefazione entra in scena l’autore Claudio Ricciardi, il quale con una breve introduzione molto toccante e profonda racconta come si è evoluto il rapporto tra lui, la musica e il mondo circostante, dalle prime esperienze a metà anni settanta con il gruppo di canto armonico Prima Materia fino al suo primo magico incontro con il suono del Didgeridoo; di questa prima esperienza riporto questa frase perchè penso che molti di noi abbiano provato una simile sensazione al primo impatto tra il proprio udito e l’albero che canta: “Il suono sorprendente del didgeridoo, che conoscevo soltanto per il suo strano nome onomatopeico, entrava nelle mie orecchie e diventata parte di tutto il corpo.”

Dopo questi primi capitoli di carattere umanistico Claudio Ricciardi comincia ad entrare nella parte più tecnica e a parlare del Didgeridoo, delle sue origini, dei materiali naturali e alternativi con i quali è costruito. Viene spiegato come possono cambiare gli armonici e la nota fondamentale a seconda delle caratteristiche organologiche dello strumento; molto interessante anche la descrizione da un punto di vista fisico dei movimenti delle labbra mentre viene prodotto il suono di bordone o nota base.

In seguito incontriamo uno dei capitoli che maggiormente ha colpito la mia attenzione. L’autore, ci trasporta in epoche del passato fino alla antica Grecia, riportando storie e scritti su come gli antichi percepivano la musica e gli strumenti con l’utilizzo della respirazione circolare. In particolare ho trovato molto affascinante la storia del mito di Marsia e della contrapposizione nella mitologia dell’antica Grecia tra gli strumenti a fiato e quelli a corda.

La prima parte del libro termina con tre capitoli, di cui due molto brevi sono dedicati alle varie modalità di respirazione naturali dell’uomo e agli elementi base per suonare il Didgeridoo, mentre l’ultimo capitolo è dedicato alla respirazione circolare e ai diversi esercizi da praticare con e senza strumento per acquisire padronanza nella tecnica anche detta del fiato continuo.

Le esercitazioni sono illustrate in modo chiaro e possono essere un valido punto di riferimento

nell’apprendimento della respirazione circolare per i principianti, ma le ho trovate utili anche per i suonatori che già la praticano perchè aiuta a comprendere molto bene ogni passaggio di questa tecnica. Scrivo questo perché diversi suonatori hanno imparato la respirazione circolare senza alcun supporto didattico e molto spesso, pur avendo raggiunto una buona padronanza, la maggior parte di essi non ha mai pensato o focalizzato cosa effettivamente accade durante la pratica di tale tecnica.

Sia chiaro che il modo migliore per impadronirsi della tecnica del fiato continuo rimane il praticarla soffiando dentro il Didgeridoo.

La seconda parte del libro, scritta da vari autori, è invece formata da un mosaico di tematiche molto diverse tra loro ma altrettanto ben assortite, dove l’albero che canta funge da filo conduttore.

Si ha inizio con una coinvolgente appendice di Alberto Furlan il quale ci fa volare in Australia per introdurci nel mondo tradizionale degli aborigeni australiani e portarci a conoscenza della loro storia passata e recente, dei loro miti e dei loro riti, e del ruolo che riveste il Didgeridoo nella loro vita sociale.

Con perfetto tempismo l’appendice successiva di Luca Di Giambattista porta il lettore ad approfondire la

conoscenza del Didgeridoo in chiave tradizionale, prendendo come punto di riferimento gli Aborigeni Yolnu, del Nord Est Arnhem Land (NEAL) riportando anche i primi rudimenti per iniziare a suonare l’Yidaki con lo stile tradizionale Yongu.

Un vero peccato che in questa appendice siano stati solo menzionati velocemente e non siano stati presi come punto di riferimento insieme agli Yolnu anche gli aborigeni del West Arnhem Land (WAL) e le relative tecniche per suonare il Mago, nome tradizionale del Didgeridoo per gli aborigeni WAL. Un’attenzione particolare, va a due appendici che mai immaginavo di trovare in un libro che tratta di Didgeridoo e respirazione circolare ma che invece, pensandoci, sono parte integrante del mondo dell’albero che canta.

La prima scritta da Emiliano Bruner parla della “Morfologia funzionale della muscolatura facciale”; nel leggerla si ha la sensazione di entrare in un libro di anatomia dedicato al Didgeridoo. Sono descritte le parti ossee e tutti i muscoli coinvolti nel suonare il magico strumento; magari in un futuro sentiremo insegnanti di Didgeridoo impartire lezioni usando termini quali “buccinatore” piuttosto che ”platysma”!

L’altra appendice, scritta invece da Maurizio Mei riguarda le termiti.

Si viaggia all’interno di colonia di termiti dove l’autore ci fa seguire la storia di una coppia di questi animaletti con particolari alquanto sorprendenti, un mondo magico che lavora incessantemente senza il quale i didgeridoo tradizionali intesi come Yidaki o Mago, probabilmente non sarebbero mai esistiti.

Arrivato alla fine del libro le sensazioni provate sono state molteplici: alla delusione per il poco approfondimento dato alle tecniche per suonare il Didgeridoo fa ampiamente da contrasto una ricchezza di altri particolari che nessun altro manuale mi aveva mai trasmesso, e dove la varietà degli argomenti trattati fa capire quante variabili siano in gioco. Mentre lo riponevo tra i miei libri sull’Australia, ho pensato a “L’albero che canta” come ad una mappa che indica una delle vie per entrare nel mondo del Didgeridoo.

 

Jack Azzara' (www.jackazzara.eu)

Claudio Ricciardi

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